Tassi zero in Europa: tra stimoli monetari e rischi di stagnazione

Stimoli monetari e rischi di stagnazione 

L’Europa torna a confrontarsi con una fase di tassi d’interesse a zero, segnale di una nuova stagione di politiche monetarie ultra-espansive. A innescare questa dinamica è stata la decisione della Banca Nazionale Svizzera di riportare il proprio tasso guida allo 0%, in risposta al calo dei prezzi al consumo e a un’inflazione persistentemente debole. Una mossa che riflette le difficoltà condivise da molte economie del continente, alle prese con una crescita lenta, domanda interna debole e pressioni deflazionistiche.

La Bce

Nel cuore dell’Eurozona, la Banca Centrale Europea mantiene un orientamento accomodante, nella speranza di stimolare investimenti e consumi in un contesto post-pandemico che si è rivelato più fragile del previsto. Il costo del denaro ai minimi storici punta a sostenere l’accesso al credito, ma solleva anche dubbi sulla reale efficacia dello strumento. In gioco non c’è solo la ripresa, ma anche la stabilità finanziaria di lungo periodo.

La Svizzera

In Svizzera, il ritorno ai tassi zero è stato giustificato dalla necessità di reagire a un franco troppo forte e all’erosione della competitività delle esportazioni. La banca centrale teme un ciclo di deflazione auto-alimentata, mentre osservatori e analisti mettono in guardia sui rischi di una distorsione dei mercati: margini bancari compressi, incentivi al rischio e possibilità di bolle speculative in segmenti sensibili come l’immobiliare e gli asset digitali.

La politica dei tassi a zero, se prolungata, può infatti creare dipendenza dalle leve monetarie, riducendo lo spazio di manovra delle autorità in caso di nuove crisi. E anche i benefici in termini di stimolo alla domanda appaiono oggi più limitati, in un’economia globale frammentata, dove le tensioni commerciali e l’incertezza geopolitica frenano la fiducia di imprese e famiglie.

Gli Stati Uniti

In questo scenario, il confronto con gli Stati Uniti è inevitabile. La Federal Reserve ha scelto un approccio più attendista, lasciando i tassi stabili dopo alcuni tagli effettuati negli anni precedenti. La dinamica americana, influenzata dalle politiche tariffarie e da una domanda interna più robusta, vede l’inflazione come rischio concreto, al contrario del vecchio continente dove l’ossessione resta la stagnazione dei prezzi.

Le due sponde dell’Atlantico appaiono quindi sempre più divergenti nelle strategie monetarie. E le conseguenze si riflettono anche sui mercati valutari: un dollaro forte rischia di penalizzare ulteriormente le esportazioni europee, aggravando lo squilibrio competitivo. Per la BCE, la sfida sarà bilanciare il sostegno alla crescita con la necessità di evitare distorsioni e fragilità finanziarie.

La stagione dei tassi a zero, insomma, non è priva di insidie. Se da un lato rappresenta un tentativo di evitare la spirale deflattiva, dall’altro impone una riflessione sul ruolo della politica monetaria in un’economia che sembra aver perso slancio strutturale. In assenza di riforme e stimoli fiscali più incisivi, il rischio è quello di una crescita debole e cronicamente dipendente dagli interventi delle banche centrali.

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