Il terrorismo non è la sola piaga che affligge l’Africa

In Nigeria sequestri di studenti e attacchi armati su larga scala si verificano in aree colpite per di più da importanti cambiamenti climatici. Gli attacchi dei terroristi nei confronti dei contadini sono in costante aumento. Dallo speciale pubblicato su Africa ExPress a firma Cornelia I. Toelgyes traiamo queste impressionanti testimonianze e i dati sul 2020: a fine novembre sono stati assassinati decine di braccianti nel Nord-est della Nigeria. Dal 2009 a oggi proprio a causa dei continui attacchi dei terroristi nigeriani sono morte decine di migliaia persone, e oltre due milioni di profughi hanno lasciato le loro case. Gran parte degli sfollati si trovano ora attorno al bacino del lago Ciad, dove però la siccità sta decimando la popolazione. Nel Nord-est della Nigeria metà della popolazione sopravvive grazie all’agricoltura, pesca e allevamento di bestiame, ma molti mezzi di sussistenza sono venuti meno o a mancare del tutto e dunque parecchi disperati, specie i giovani, si arruolano con Boko Haram o ISWAP, (Islamic State West Africa Province), una fazione che si è staccata dallo storico raggruppamento terrorista jihadista Boko Haram nel 2016.

“I nostri giovani si arruolano con gruppi terroristi per mancanza di lavoro e le difficili condizioni economiche. Contadini e allevatori litigano per la poca acqua rimasta. I pastori vanno in cerca di nuovi pascoli e così nascono i conflitti“ ha ammesso Muhammadu Buhari, presidente della Nigeria.

Molti esperti e studiosi di questo fenomeno sono convinti che con l’aumento della temperatura gli attacchi terroristi e i morti causati da queste aggressioni tendono a moltiplicarsi. Basti pensare all’attuale situazione del lago Ciad. Il lago, che un tempo era tra i più grandi del continente africano, si è ridotto negli ultimi cinquant’anni del novanta per cento per l’eccessivo utilizzo delle sue acque, la prolungata siccità e i cambiamenti climatici. Nel 1963 la superficie del lago era di ventiseimila kilometri quadrati, oggi non raggiunge nemmeno i millecinquecento. E da diversi anni, lungo il bacino di questo lago (confina con Nigeria, Niger, Camerun e Ciad ), che un tempo era considerato un’oasi nel deserto, si consuma una delle più grande tragedie umanitarie, dovuta ai conflitti nelle nazioni circostanti. Il clima cambia e le risorse diminuiscono: di conseguenza aumentano le guerre.

Anche il Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia, Somalia, Kenya) è stravolto dai conflitti. Troppo spesso quello che accade in questa parte del pianeta, una delle aree più complesse e più pericolose in assoluto, viene semplicemente dimenticato o del tutto ignorato. Chi mai si sta preoccupando per la devastante invasione di cavallette di questi giorni e pensa mai di inviare soccorsi alla popolazione ormai allo stremo? Quali titoli avete visto sui giornali, o quali missioni umanitarie sono state organizzate? Nulla.

(Courtesy IRC)

I mali endemici dell’Africa orientale restano la malnutrizione, la malaria, le patologie trasmesse dall’acqua inquinata che provocano una povertà diffusa e minacciosa, in Paesi con un numero enorme di esseri umani coinvolti in questo stato di cose. Disuguaglianze e malattie, conseguenze sì dei cambiamenti climatici, ma aggravate da sistemi politico-istituzionali evanescenti, fragili, autoreferenziali, corrotti e sistemi sanitari inesistenti. E dove qualcosa è stato fatto, come in Kenya, è solo a vantaggio delle classi sociali più abbienti.

L’unica Ong che da tempo cerca di combattere questa situazione – oltre a poche altre minori assolutamente marginali – è Azione contro la Fame  con i suoi programmi di nutrizione, sicurezza alimentare, accesso all’acqua potabile, ai servizi sanitari e all’igiene nell’area. La terribile situazione sanitaria in Paesi come la Somalia ha però subìto un crollo ulteriore dal 2011, anno in cui una siccità spaventosa e la conseguente scarsezza di cibo hanno ucciso migliaia di persone e messo in pericolo la vita e i mezzi di sopravvivenza di quasi 4 milioni di esseri umani.

Anche Human Rights Watch, l’organizzazione che ha sede a New York, può fare ben poco in quest’area. Indaga e riferisce sugli abusi che avvengono in tutto il mondo, avvalendosi di circa 450 persone di oltre 70 nazionalità: avvocati, giornalisti e altri professionisti che cercano di di fornire assistenza e cure ai più disperati.

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