Leopardi potrebbe interpretare l’innovazione come un’illusione che l’uomo si crea per sfuggire alla sua condizione naturale di sofferenza. Come per il progresso, l’innovazione potrebbe sembrare migliorare la qualità della vita, ma alla fine per lui non cambierebbe la condizione umana di fondo: quella di essere sempre insoddisfatti, perennemente in cerca di nuove illusioni.
Del resto Leopardi, con la sua visione pessimistica, sosteneva che la felicità fosse irraggiungibile per l’uomo moderno, sempre alienato dalla sua natura. Anche l’innovazione, nel migliorare la tecnologia o la scienza, non riuscirebbe a risolvere questa alienazione fondamentale e potrebbe addirittura peggiorarla, aumentando la distanza tra l’uomo e le sue necessità naturali.
Critica della modernità
Leopardi era già critico verso la società moderna, che considerava troppo razionale e artificiale, lontana dalla semplicità e dalla spontaneità del passato. In questo contesto, l’innovazione sarebbe certamente stata vista come un ulteriore strumento di razionalizzazione e meccanizzazione della vita, che allontana l’uomo dalla sua dimensione più autentica e naturale.
Però, una parte importante della filosofia leopardiana era la necessità di illusioni per dare un senso alla vita. Forse avrebbe visto nell’innovazione una nuova forma di illusione, una speranza temporanea che permetta all’uomo di andare avanti, pur sapendo che alla fine questa speranza è destinata a essere delusa, come tutte le altre.
Leopardi in fondo non avrebbe considerato l’innovazione come un reale strumento di miglioramento della condizione umana. Piuttosto, ne avrebbe probabilmente parlato come di un’ulteriore espressione della lotta dell’uomo contro una natura indifferente, una lotta che, nonostante tutti i progressi tecnici, è destinata a non essere mai completamente vinta.