Il diritto d’autore nella nostra era digitale. Intervista con l’avv. Giovanni Bonomo

Il diritto d’autore nella nostra era digitale. Abstract
L’Intelligenza Artificiale, che rappresenta una svolta epocale non solo in termini tecnologici ma anche per le sue ripercussioni nel diritto, pone sfide inedite e complesse per quanto riguarda il diritto d’autore. La principale questione è se un’opera generata dall’IA possa essere considerata “originale” nel senso del diritto d’autore e se il processo di creazione dell’IA costituisca una “trasformazione” legittima dell’opera originale. Dalle controversie su opere d’arte digitali create da IA, a dispute riguardanti composizioni musicali e letterarie generate automaticamente, le sentenze sono fondamentali per comprendere come il diritto d’autore possa adattarsi alle sfide poste dall’innovazione tecnologica.

Dal copyleft, la nuova concezione del diritto d’autore, alle licenze Creative Commons. Infine, il Disegno di Legge per l’introduzione nel nostro ordinamento di una normativa che regoli il nuovo fenomeno dell’AI.

(l’immagine di copertina è stata creata da intelligenza artificiale ∙ Image Creator da Designer)

Il diritto d’autore nella nostra era digitale

Intervista con l’avv. Giovanni Bonomo di A.L. Assistenza Legale – Committed to Excellence

Che rilevanza ha oggi, nella nostra era digitale, il diritto d’autore?

Dopo l’invenzione della stampa nella metà del 1400 dovuta come sappiamo a Gutenberg l’altra grande svolta nella storia del copyright può essere considerato l’avvento di Internet, il cui più importante contributo sta nella diffusione di informazioni, e quindi anche di opere letterarie e artistiche, senza nessun costo di materiale e di distribuzione, senza cioè quelle spese che da sempre avevano caratterizzato il settore. L’avvento di Internet e delle altre tecnologie informatiche si integrano ora difficilmente con una legislazione nata nell’Europa del XVIII e XIX secolo. Con lo sviluppo della Rete e del digitale entra in crisi dunque il quadro legislativo sul diritto d’autore e sul copyright, basti pensare che grazie all’accessibilità dell’informazione on-line tutti oggi possono potenzialmente divenire produttori di cultura e quindi in qualche modo autori.

In effetti Internet nasce come una rivoluzione informatica per diffondere l’informazione a livello globale tramite i nostri PC. Quali ripercussioni sul diritto d’autore?

L’avvento rivoluzionario di Internet e dell’informatica ha dato la possibilità a chiunque, come mai prima d’ora nella storia dell’umanità, di avere accesso alle idee e alle conoscenze, e di proporsi egli stesso come promotore del proprio talento. Viene meno di conseguenza quella visione di tipo protezionistico-conservativa dell’opera per garantirne invece una più ampia diffusione insieme al nome dell’autore. Questo ha implicato il sorgere di nuovi approcci alla questione del copyright, che vanno da un inasprimento delle sanzioni per i trasgressori ad una, di contro, propaganda di una sorta di anarchia del Web, passando per situazioni intermedie e innovative tra le quali il copyleft.

Ci può fare un esempio di questi due opposti approcci?

Fermo restando che lo scopo del diritto morale di autore è quello di proteggere la personalità dell’autore quale si manifesta nella sua opera e premesso che il diritto patrimoniale e i diritti economici sull’opera possono essere ceduti ad altri soggetti per una durata limitata nel tempo (da noi 70 anni dopo la morte dell’autore, terminati i quali l’opera può essere sfruttata liberamente da chiunque, con salvezza dei diritti morali tra i quali in primi la paternità dell’opera), uno dei primi casi di violazione di diritto d’autore nell’era digitale è il caso Napster, un software creato alla fine degli anni ’90 per permettere lo scambio di file .mp3 (in sostanza musica, canzoni). A causa delle perdite provocate da tale sistema, utilizzato da un numero di utenti che verso la fine dell’anno 2000 erano circa settantacinque milioni, le maggiori case discografiche del mondo intrapresero azioni di giudizio contro Napster che venne costretto in breve tempo alla chiusura totale dei server e al pagamento di trentasei milioni di dollari per aver violato diritti di copyright. Data l’espansione del fenomeno gli Stati e le organizzazioni internazionali si mossero sempre più verso una regolamentazione in grado di tenere sotto controllo il problema continuando, però, ad affrontare la questione secondo un approccio proprietario e conservativo, vale a dire senza tenere in considerazione la necessità di quell’adattamento che il cambiamento tecnologico, il file sharing e lo scambio dati peer-to-peer, avrebbe richiesto.

E’ da qui che nasce il diverso approccio del copyleft?

Inizialmente, dopo la Convenzione di Berna con i suoi vari adattamenti, alla quale aderirono numerosi Stati del mondo, il Digital Millennium Copyright Act del 1998 introduce soltanto due nuovi divieti: contro le azioni atte ad aggirare le misure tecnologiche di protezione sui copyrighted works e contro la manomissione delle informazioni dei prodotti protetti. Tali divieti si rivelavano ancora in gran parte inefficaci perché restano ancorati al concetto di diritto d’autore nato a seguito della rivoluzione della stampa, mentre sul Web ormai si sta di nuovo evolvendo perfino il concetto stesso di “autore”.

Non si era ancora compreso, e ancora oggi si fa fatica a comprendere e accettare, il cambiamento dell’accessibilità, della diffusione, e del modo di fruire di un’opera dell’ingegno, che il modello teorico e storico di copyright non consente più di tutelare l’opera assecondando però le legittime aspirazioni degli autori. Si affacciavano quindi nuove proposte e  nuove soluzioni che il mondo di Internet e della cultura fecero venire a galla negli ultimi anni. Tra le varie idee per aggiornare il diritto d’autore alle esigenze della comunicazione digitale, merita attenzione quella che parte proprio dal copyright e ne coglie alcuni principi fondamentali per poi adattarli di volta in volta al prodotto e alla volontà dell’artista: stiamo parlando proprio del copyleft, la nuova concezione del diritto d’autore.

Ci può spiegare come funziona?

Il copyleft permette di riutilizzare o riprodurre l’opera riconoscendo i diritti morali dell’autore originario, considerando anche che un’opera multimediale non è identificabile con un autore ma con molti possibili “contributori” della stessa. Il sistema del copyleft non ha come obiettivo l’abolizione dell’istituto del copyright ma, anzi, ne usa le stesse regole per raggiungere lo scopo opposto: la libera circolazione delle opere e la diffusione del nome dell’autore. L’idea di copyleft e di Open Access trova le sue radici ideologiche agli inizi degli anni ’80, periodo in cui nasce il PC Personal Computer che apre le porte dell’informatica a un mercato decisamente molto ampio e non più riservato a gruppi ristretti di programmatori e centri di ricerca informatica. A fronte dell’atteggiamento di molte imprese informatiche che, spinte dai possibili ricchi guadagni, adottarono un atteggiamento di chiusura dei loro prodotti che iniziarono a tutelare attraverso brevetti e copyright, gli hacker iniziarono ad allestire lavori di progettazione collettiva, di libero scambio e innovazione.

All’inizio degli anni ’90 inizia a circolare con sempre maggiore insistenza l’idea di free software: ossia di un sistema “aperto” di licenze software. La figura più importante per la nascita del concetto di copyleft fu Richard M. Stallman, il quale ideò un metodo che prendesse dal copyright le caratteristiche di tutela, concentrandosi però sulla protezione della libertà di utilizzo, modifica e redistribuzione, e non sulla tutela di copia. In breve Stallman prese il concetto alla base del copyright, ma capovolgendo: non andava garantita l’esclusività, bensì la libertà di copia. Da qui il nome copyleft che gioca con il doppio significato dalla parola inglese left: da un lato traducibile con sinistra e quindi indicando un ribaltamento rispetto al right di copyright; dall’altro traducibile con lasciato, permesso, sottolineando così il carattere di apertura e accessibilità.

Parlando di licenze Lei si riferisce alle Creative Commons di cui si sente parlare?

Esattamente. Mi lasci però prima precisare che l’espansione del modello copyleft dall’ambito strettamente informatico all’ambito autorale non informatico appartiene alla prima generazione di hacker. Stallman fonda così nel 1983 il Progetto Gnu, acronimo per Gnu’s not Unix (Unix era il primo sistema operativo non in linguaggio di macchina che aveva aperto la possibilità di diffusione dei software). E solo alla fine degli anni ’90 si pensò di far slittare il modello del copyleft da un prodotto puramente informatico a prodotti testuali di vario tipo, letterari, artistici, scientifici, etc. Si pensi al progetto “Gnutemberg” (inaugurato nel 2002, raccoglie e incentiva la diffusione a mezzo stampa di tutto il materiale distribuito sotto licenze libere), al ptogetto liberliber.it (ha per scopo la creazione di un immensa biblioteca digitale ad accesso libero e gratuito), si pensi a Wikipedia, nata nel 2001, che è il maggior esempio di enciclopedia liberamente modificabile e consultabile. Lo scopo del copyleft è quello di rendere i contenuti pubblicati via Web liberi a tutti, in risposta preventiva ad ogni possibile restrizione dell’accesso gratuito delle informazioni in Rete.

Nato nel 2001, il progetto Creative Commons è di particolare interesse in quanto è il primo ad aver dato attenzione specifica alle opere artistiche, progettando alcune licenze ad hoc per ogni tipo di circostanza con attenzione particolare alle varie esigenze possibili degli autori e delle creazioni. L’obiettivo è quello di dar vita a una collettività di creazioni artistiche libere, ridimensionando alcuni aspetti del copyright tradizionali per adattarlo al nuovo contesto digitale e telematico. Gli ideatori hanno redatto un gruppo di sei licenze, le Creative Commons Public Licenses (CCPL), pubblicate nel dicembre del 2002.

Intelligenza Artificiale e diritto d’autore, quali interferenze e quali problemi?

L’Intelligenza Artificiale, che rappresenta una svolta epocale non solo in termini tecnologici ma anche per le sue ripercussioni nel diritto, pone sfide inedite e complesse per quanto riguarda il diritto d’autore. La principale questione è se un’opera generata dall’IA possa essere considerata “originale” nel senso del diritto d’autore e se il processo di creazione dell’IA costituisca una “trasformazione” legittima dell’opera originale.

Dalle controversie su opere d’arte digitali create da IA, a dispute riguardanti composizioni musicali e letterarie generate automaticamente, le sentenze sono fondamentali per comprendere come il diritto d’autore possa adattarsi alle sfide poste dall’innovazione tecnologica. Voglio dire che in questo campo di ancora vuoto normativo il diritto vivente delle corti., la giurisprudenza insomma, così come lo è stato per la genesi e la regolamentazione dell’emittenza privata, gioca un ruolo fondamentale.

Occorre quindi chiedersi se le opere realizzate con l’ausilio di strumenti di AI rientrano nel concetto di “opere dell’ingegno di carattere creativo” ai sensi dell’art. 1 della legge su diritto d’autore. Sulla base del dettato della norma e della giurisprudenza finora formatasi intorno al tema, la risposta non può che essere negativa, posto che la tutela del diritto d’autore presuppone che l’opera realizzata “rifletta la personalità del suo autore, manifestandone le sue scelte libere e creative.” Appare chiaro, dunque, che l’AI non possa essere giuridicamente considerata quale “autore” di una determinata creazione, difettando i requisiti dell’originalità e della creatività intellettuale riferibili esclusivamente alla persona umana.

Che mi dice allora di certe opere di AI, sia letterarie che figurative, assolutamente originali e indistinguibili da quelle di creazione umana?

Una delle principali sfide è determinare appunto se l’opera generata dall’IA possa essere considerata “originale” nel senso del diritto d’autore e se il processo di creazione dell’IA costituisca una “trasformazione” legittima dell’opera originale o di tante opere originali di un autore al fine di acquisirne lo “stile” artistico.

Tale sfida viene raccolta, per quanto riguarda l’Italia, dal Consiglio dei Ministri che lo scorso 23 aprile 2024 si è riunito per varare un Disegno di Legge (“DDL S. 1146”) per l’introduzione nel nostro ordinamento di una normativa che regoli il nuovo fenomeno dell’AI.

La proposta di legge punta ad individuare il punto di equilibrio tra i vantaggi e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e i rischi connessi ad un loro uso improprio, ad integrazione di quanto già previsto dal Regolamento europeo sull’Intelligenza Artificiale (“AI Act”) approvato lo scorso marzo.

Tale DDL prevede un’integrazione dell’art. 1 della l.d.a., ricomprendendo nelle “opere dell’ingegno umano “anche quelle opere “realizzate con l’ausilio strumenti di intelligenza artificiale purché il contributo umano sia creativo, rilevante e dimostrabile”.

Si è dinanzi ad una riaffermazione della visione per cui solo l’opera che rifletta la soggettività, la creatività e l’ingegno dell’autore/ persona fisica risulta meritevole di tutela. In altre parole, la proposta di legge, seppur non escluda che le opere realizzate con l’impiego di strumenti di AI rientrino nel bene giuridico tutelato dal diritto d’autore, richiede però che in queste l’apporto umano domini il processo creativo.

Fondamentale diviene, dunque, la quantificazione/ qualificazione del contributo umano nel processo di realizzazione dell’opera digitale. In poche parole il contributo umano nelle opere create attraverso l’ausilio di strumenti di IA deve essere creativo rilevante e dimostrabile. Vedremo come il legislatore se la caverà sotto questo profilo nella definizione di tale disegno di legge, in modo da non demandare ai giudici tale quantificazione/qualificazione che non può essere arbitraria ma ancorata a predeterminati e precisi criteri.

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