Secondo quanto pubblicato nel dicembre scorso da Fabrizio Agnocchetti sulla rivista Limes, a proposito degli Stati Uniti, l’approfondimento della faglia identitaria nella società americana era all’origine della fase di transizione egemonica e dei laceranti conflitti d’identità che vivono due Paesi diversamente gemelli della superpotenza egemone, Francia e Israele, poiché insistono su due aree fondamentali dell’impero americano, l’Europa e il Medio Oriente.
Crisi d’identità e disordine globale: l’egemonia americana alla prova del 2025
Nel 2025, sei mesi dopo il secondo insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, si fa sempre più evidente un processo di transizione egemonica globale che trae linfa non solo da dinamiche geopolitiche e strategiche, ma dalla profonda faglia identitaria indicata da Agnocchetti, elemento che lacera la stessa società americana. È proprio questa spaccatura interna, culturale e sociale, tra élites globaliste e populismi identitari, tra città metropolitane e Americhe profonde, tra capitale e lavoro, a costituire il cuore oscuro del mutamento sistemico in atto.
La nuova amministrazione statunitense ha riaffermato una postura apertamente unilaterale, imponendo dazi selettivi a una serie di partner economici strategici, tra cui l’Unione Europea, la Cina e perfino alleati storici come il Giappone. Colpiti in particolare i settori della green economy, delle auto elettriche e della tecnologia avanzata, questi dazi si giustificano formalmente come difesa dell’industria nazionale, ma riflettono un intento più profondo: rafforzare una narrazione identitaria nazionale fondata sul ripristino dell’“America First”.
Questa retorica ha un impatto non solo sugli equilibri economici globali, ma anche sui pilastri geopolitici dell’egemonia americana. Due casi emblematici, Francia e Israele, rivelano come le crisi identitarie nei paesi “gemelli” dell’impero – rispettivamente in Europa e in Medio Oriente – siano interconnesse alla crisi del modello egemonico stesso.
Francia e Israele: specchi di una crisi imperiale
In Francia, l’anno è stato segnato da un’escalation di tensioni sociali, con forti proteste contro le misure di austerità post-pandemiche, la crisi migratoria e una polarizzazione crescente tra centro e periferie. Il rafforzamento dei movimenti sovranisti e delle destre identitarie ha minato l’equilibrio repubblicano e creato crepe all’interno della stessa Unione Europea. Ad esempio, l’imposizione di dazi USA sulle auto elettriche europee, di cui la Francia è uno dei maggiori produttori, ha acuito la crisi industriale e alimentato una narrativa antiamericana nei settori più colpiti.
In Israele, la situazione è ancora più delicata. La “guerra dei 12 giorni” contro l’Iran, appoggiata apertamente dagli Stati Uniti, ha generato una nuova fase di instabilità nella regione. Ma è all’interno dello Stato ebraico che si consuma la frattura più profonda: le tensioni tra laici e religiosi, tra la popolazione ebraica e la minoranza araba, e le accuse di apartheid si sono riaccese con forza. La politica aggressiva di Trump verso Teheran ha rafforzato la destra israeliana, ma ha anche isolato Tel Aviv dai suoi partner europei, rendendo più fragile la sua posizione internazionale.
Le contraddizioni dell’identità americana
Entrambi i Paesi – Francia e Israele – riflettono così in modo speculare le contraddizioni dell’identità americana contemporanea: la difficoltà di tenere insieme pluralismo e sicurezza, apertura e controllo, innovazione e coesione sociale. In entrambi i casi, la crisi identitaria si traduce in instabilità politica e vulnerabilità economica, proprio nei gangli dell’architettura imperiale americana: Europa e Medio Oriente.
Dazi, deglobalizzazione e la parabola del declino egemonico
L’effetto sistemico della nuova ondata di dazi è quello di frammentare ulteriormente la globalizzazione, accelerando la formazione di blocchi economici regionali e riducendo la capacità degli Stati Uniti di esercitare un soft power inclusivo. Gli alleati, da Tokyo a Berlino, da Parigi a Seul, vedono con crescente diffidenza l’affidabilità dell’America come garante del sistema multilaterale. L’economia statunitense, pur sostenuta nel breve da misure protezionistiche e stimoli fiscali interni, si espone al rischio di ritorsioni commerciali e isolamento strategico.
In questo scenario, la crisi d’identità americana diventa il motore invisibile della crisi dell’ordine internazionale. Non si tratta solo di un problema di potere militare o di influenza economica, ma di legittimità culturale e coerenza interna. Se l’America non riesce a risolvere le sue contraddizioni interne – razziali, sociali, politiche – difficilmente potrà offrire un modello credibile di governance globale.
Il 2025 segna un punto di svolta: la crisi dell’egemonia americana non è solo geopolitica, è soprattutto identitaria. E come ogni impero in declino, anche quello americano inizia a vacillare non solo ai confini, ma soprattutto al centro.
Francia e Israele, in quanto satelliti privilegiati e termometri geopolitici, offrono un’anteprima del futuro che attende l’ordine globale: più frammentato, più conflittuale, e forse, definitivamente post-americano.
Stati Uniti, Francia e Israele nel 2025: numeri di una crisi sistemica
Indicatore | USA | Francia | Israele |
---|---|---|---|
Crescita PIL (stima 2025) | +1,1% | +0,4% | +1,9% |
Inflazione media annua | 4,7% | 5,1% | 3,8% |
Disoccupazione | 5,3% | 9,2% | 4,2% |
Investimenti esteri diretti (var. vs 2024) | -12% | -9% | -5% |
Tasso di accesso a internet 5G | 69% | 58% | 66% |
Dazi USA su auto elettriche europee | +25% | N/A | N/A |
Tensione sociale (indice OCDE)* | 76/100 | 83/100 | 79/100 |
Fiducia nelle istituzioni (indice Gallup)** | 31% | 27% | 35% |
Spesa militare (in % del PIL) | 3,7% | 1,9% | 5,2% |
Ranking “Soft Power 30” (posizione globale) | 3° | 7° | 21° |
** Percentuale della popolazione che ritiene “affidabili” parlamento e governo