L’arte politica di Julie Mehretu

Julie Mehretu nasce nel 1970 ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, ma all’età di sette anni si trasferisce negli Stati Uniti con la sua famiglia.

I dipinti di Mehretu sono spesso il prodotto di un lavoro di stratificazione ottenuto con una miscela acrilica che, asciugandosi, lascia un fondo trasparente pronto per accogliere un nuovo strato. In molti lavori le foto di cronaca vengono modificate digitalmente o attraverso tecniche di stampa e incisione. Le immagini dei luoghi e della storia vengono quindi processate, trasformate, opacizzate o sminuzzate. Fino a svanire.

La sua pittura lavora sul tempo e racconta la contemporaneità. La sua condizione di persona sradicata la porta a creare opere suggestive e allo stesso tempo fortemente politiche: raccontano migrazioni, conflitti e trasformazioni della società.

L’esposizione “Ensemble” a Palazzo Grassi a Venezia è la più grande mostra di Mehretu in Europa e vuole raccontare non solo il percorso di un’artista, ma l’insieme delle sue relazioni affettive e delle affinità, estetiche e spirituali, che legano l’artista a una comunità di persone a lei vicine che abitano il mondo dell’arte.

Ensemble è anche il podcast che racconta la storia dell’artista e tutta la sua esposizione. È stato scritto da Ivan Carozzi, e tradotta in tre lingue: la voce nella versione italiana è di Sara Poma, quella inglese è di Kaitlin Prest, quella francese di Chloé Barreau.

di Ivan Carozzi, autore del podcast

Un pomeriggio di fine febbraio sono riuscito finalmente a incontrare Julie Mehretu, l’artista della quale mi stavo occupando per lo script di “Ensemble” ormai da qualche settimana e del cui lavoro mi ero innamorato.

L’incontro non è avvenuto di persona, ma online. Avevo il timore che Julie potesse essere di fretta, non solo perché si trovava nel bel mezzo dell’allestimento della mostra a Palazzo Grassi, ma perché di fretta oggi, sfortunatamente, lo siamo un po’ tutti.

È andata diversamente: Julie era rilassata, amichevole e sorridente. Si è aperta in modo franco, ci ha raccontato la sua infanzia, ci ha portato in Etiopia e poi negli Stati Uniti degli anni Ottanta e Novanta. Ci ha portato dentro il suo lavoro pittorico, che fin dall’inizio mi è sembrato costantemente attraversato da una sorta di vibrazione, di ritmo.

Non solo. Avevo la sensazione che Julie avesse tradotto in segno e colore alcune precise reference musicali che portavano verso il linguaggio della musica jazz. Ecco perché, ascoltando l’edit finale del podcast, sono rimasto particolarmente felice del lavoro di supervisione del suono e della musica di Luca Micheli e da quello di montaggio e post produzione di Cosma Castellucci, così coerente ed esatto rispetto alla poetica di Mehretu.

Ora spero che Ensemble arrivi anche agli ascoltatori, guidandoli dentro la vita e l’arte di Julie Mehretu.