— di Ivana Quartarone —
Capi di tendenza a prezzi stracciati, spediti in tutto il mondo: questo è il modello di business delle catene di fast fashion, come Shein, Temu e Aliexpress, che fanno leva sul desiderio dei consumatori di indossare vestiti sempre nuovi a costi contenuti. Tuttavia, dietro questa convenienza si cela un problema di sostenibilità. Gli articoli, infatti, sono spesso progettati per una stagione, favorendo un uso “usa e getta” senza attenzione alla durabilità.
La produzione rapida e il turnover frequente delle collezioni sono al centro di questo modello, alimentato da strategie di marketing aggressive e prezzi competitivi. Sebbene questo approccio mantenga alta l’attenzione dei consumatori e stimoli acquisti frequenti, le conseguenze negative non sono trascurabili.
Rischi per la salute e l’ambiente
Le recenti indagini di Greenpeace del 2022, seguite dalle ultime ricerche delle autorità coreane, hanno messo in luce la gravità delle conseguenze di questo modello produttivo, rivelando che molti capi venduti da marchi di fast fashion asiatici contengono sostanze chimiche tossiche. Gli studi hanno evidenziato la presenza di sostanze pericolose come piombo, cadmio, antimonio e ftalati vietati, che possono essere assorbiti dalla pelle e avere effetti dannosi su organi vitali come i reni e le ossa, nonché compromettere la fertilità.
In particolare, il sito tedesco Öko-Test ha condotto un’analisi approfondita su 21 articoli di abbigliamento di Shein, rivelando che solo un terzo di essi ha ottenuto un voto di “adeguato” in termini di qualità delle componenti. La maggior parte dei capi esaminati è risultata contaminata da sostanze nocive. Questi risultati sono preoccupanti non solo per la salute dei consumatori, ma anche per l’ambiente, poiché molte di queste sostanze chimiche possono contaminare le acque e i suoli durante il processo di produzione e smaltimento dei rifiuti tessili.
Le conseguenze economico-sociali
Oltre ai rischi per la salute e l’ecosistema, tale business ha implicazioni economiche e sociali globali. La produzione massiva a basso costo, infatti, è spesso realizzata in paesi in via di sviluppo, dove le normative ambientali e i diritti dei lavoratori possono essere meno rigorosamente applicati. Questo porta a condizioni di lavoro precarie, sfruttamento del lavoro minorile, salari bassi e mancanza di sicurezza sul lavoro. Inoltre, l’industria della moda è uno dei settori più inquinanti al mondo, con un impatto significativo sulle risorse idriche globali e un’elevata produzione di rifiuti tessili, che contribuisce al cambiamento climatico.
Verso una moda sostenibile
È sempre più chiaro che il modello del fast fashion non è sostenibile a lungo termine. Cresce la consapevolezza tra i consumatori riguardo all’importanza di scelte di acquisto più responsabili e sostenibili. Marche emergenti, così come alcune catene di moda tradizionali, stanno iniziando a esplorare alternative più eco-friendly, come l’utilizzo di materiali riciclati, processi produttivi a basso impatto ambientale, e l’adozione di pratiche di economia circolare.
Conclusioni
Il caso Shein evidenzia i rischi associati alla fast fashion non solo per la salute umana e l’ambiente, ma anche per l’economia globale. Mentre il mercato della moda continua a crescere, è essenziale che aziende, governi e consumatori lavorino insieme per promuovere una moda più sostenibile e responsabile. Solo così sarà possibile mitigare gli effetti dannosi di questo modello economico e garantire un futuro più sano e più giusto per tutti.
In risposta alle accuse e alle rivelazioni emerse dalle indagini, Shein ha dichiarato di star lavorando “a stretto contatto con agenzie di test internazionali di terze parti per effettuare regolarmente test di campionamento basati sul rischio e per garantire che i prodotti forniti dai fornitori soddisfino gli standard di sicurezza dei prodotti Shein”. Tuttavia, resta da vedere se questi sforzi saranno sufficienti per rispondere alle crescenti preoccupazioni sulla sicurezza e la sostenibilità dei prodotti in tale industry.