Il veliero fu consegnato all’Urss come risarcimento di guerra, disalberato e ridotto a trasportare legname
Se chiedete ad un marinaio quale sia la nave più bella del mondo, è facile che vi risponda: “l’Amerigo Vespucci” (foto di copertina) la celeberrima nave scuola della Marina italiana. Sono in pochi però a ricordare che lo spettacolare veliero aveva una gemella: una nave bella quanto la Vespucci ma con un destino ben diverso al suo orizzonte. Il nome di questa nave era “Cristoforo Colombo“ (nell’illustrazione qui sopra).
Entrambe le navi furono progettate negli anni ’20 dello scorso secolo dal tenente colonnello del Genio Navale Francesco Rotundi che volle ispirarsi al veliero Monarca, l’ammiraglia della flotta del Regno delle Due Sicilie. Costruite negli allora “Regi Cantieri” di Castellammare di Stabia, le gemelle furono varate a poca distanza l’una dall’altra nel 1928, e presero servizio nella Divisione Navi Scuola col compito di addestrare i cadetti della Regia Marina Militare dei Savoia.
Le due navi, pur essendo considerate gemelle, avevano qualche leggera differenza. Stesso dislocamento, 4146 tonnellate, stessa stazza lorda, 3410 tsl, solo mezzo metro di differenza nella lunghezza fuori tutto: 101 metri l’Amerigo contro i 100 metri e mezzo della Cristoforo. Differenza dovuta probabilmente alla diversa inclinazione del bompresso che rispondeva ad un differente attacco delle sartie, a filo di murata per la Vespucci, cadenti verso l’esterno per la Colombo.
Un’altra particolarità che le distingueva erano i due occhi di cubia tagliati sul mascone da cui la Colombo filava l’ancora, mentre la Vespucci ne aveva uno solo. La differenza più grande, però, stava sott’acqua. La propulsione alla Colombo veniva da due eliche, alla Vespucci da una sola. Per il resto, i due velieri erano indistinguibili. Anche nella particolare verniciatura. Entrambe sfoggiavano la caratteristica fascia bianca sulla fiancata che segnava il ponte di batteria da cui aprivano il fuoco i cannoni dei velieri da guerra del Settecento.
Due navi praticamente uguali ma destinate a percorrere due rotte ben differenti, una verso il mito, l’altra verso l’oblio. Fu al termine della Seconda Guerra Mondiale che le navi gemelle si separarono. Al tavolo degli accordi di pace di Parigi, infatti, gli italiani si resero conto che non era stata esattamente un’idea intelligente quella di invadere la Russia spedendoci qualche battaglione di alpini. L’Unione Sovietica pretese così dal nostro Paese la consegna di una dozzina di navi militari, tra le quali anche la Cristoforo Colombo, come risarcimento di guerra.
La cessione dell’imponente veliero sollevò un grande sdegno nel nostro Paese. La Colombo, così come la sua gemella Vespucci, era considerata una madre da tutti i cadetti italiani sul cui ponte avevano appreso le tecniche di navigazione ed erano diventati dei veri marinai. Qualche giorno prima della cessione, alcuni ex esponenti della Repubblica Sociale furono arrestati con una valigia piena di tritolo con il quale volevano affondare il veliero per risparmiargli l’onta di essere ceduto ad un Paese straniero che, per di più, consideravano la patria del comunismo. Non pensavano al fatto che, se il loro piano fosse riuscito, l’Italia avrebbe dovuto consegnare ai sovietici la Vespucci.
E così, il 9 febbraio del ’49, la Cristoforo Colombo abbandonò Taranto per dirigersi al porto di Odessa, al comando del capitano di Fregata Serafino Rittore. Si racconta che la notte prima della partenza, un ignoto allievo della nave scuola rubò il quadro ritraente lo sbarco di Cristoforo Colombo che ornava la sala d’onore dell’omonimo veliero e che ora quel quadro sia appeso nella medesima sala della Amerigo Vespucci.
Il veliero raggiunse Odessa il 2 marzo dello stesso anno. Ad Augusta, dove la nave aveva fatto tappa, il capitano Rittore ammainò per l’ultima volta il tricolore italiano. Entrati in possesso della nave, i sovietici cambiarono il suo nome in Danubio e ridipinsero lo scafo di un triste grigio militare. Per i dieci anni successivi il veliero fu utilizzato come nave scuola dalla marina dell’Urss ma senza entusiasmo e molto saltuariamente. Le materie di studio e di addestramento dei cadetti sovietici non prevedevano corsi di navigazione a vela, e ben presto si accorsero che la Danubio non gli serviva a nulla e smisero di prestargli le dovute attenzioni.
Già nel 1961 divenne chiaro che la nave aveva bisogno di precisi lavori di manutenzione ma nessuno si prese mai la briga di cominciarli. Mentre l’Amerigo Vespucci spiegava le sue vele negli oceani di tutta la terra ed incrociando la portaerei Uss Indipendence veniva salutata come “la nave più bella del mondo”, la sua sfortunata gemella veniva disalberata per essere utilizzata come nave cargo a motore per il trasporto commerciale di legname.
Nel ’63 scoppiò un incendio a bordo che devastò l’opera viva rendendo economicamente svantaggioso un suo ipotetico recupero. La Danubio fu così abbandonata a se stessa e radiata dal registro delle navi mercantili. Per altri otto anni rimase attraccata nella banchina del porto di Odessa come un relitto galleggiante, fino a che nel 1971 fu, viene da scrivere pietosamente, trascinata in un cantiere e demolita.
Fonti foto: www.sandroferuglio.com, Wikipedia e Us Navy