L’ILVA? Va nazionalizzata, subito. Si può

— di Marco Giovanniello —

Anche se IL FOGLIO il dicembre scorso sosteneva che nazionalizzare l’ILVA potrebbe essere “una pessima idea” l’azienda a mio parere va nazionalizzata, subito. Non è un tabù, la Gran Bretagna ha nazionalizzato le banche, De Gaulle nazionalizzò la Renault collaborazionista. Anche Monte Paschi dovrebbe essere nazionalizzata, se disgraziatamente il risanamento non riuscisse.

Naturalmente la nazionalizzazione deve essere temporanea e finalizzata da subito alla vendita a nuovi padroni, meno propensi alla furbizia e più coscienti di avere una forte responsabilità sociale e verso gli altri settori produttivi che dipendono dall’approvvigionamento di acciaio.

L’ILVA, il più grande impianto siderurgico d’Italia, ha avuto una storia complessa, segnata da privatizzazioni, crisi ambientali e industriali.

  • 1905: Nasce come società privata con stabilimenti a Napoli e in Liguria.
  • 1961: Lo Stato, tramite Finsider (IRI), crea il grande polo siderurgico di Taranto, il più grande d’Europa.
  • Anni ’70-’80: L’ILVA diventa un simbolo della siderurgia italiana, ma accumula debiti a causa della crisi del settore.
  • 1995: Il governo decide di privatizzarla vendendola al gruppo Riva.

Crisi ambientale (1995-2012)

  • I Riva trasformano ILVA in un colosso, ma tagliano costi sulla sicurezza e sull’ambiente.
  • 2012: La magistratura sequestra impianti a Taranto per disastro ambientale (emissioni tossiche).

Tentativi di rilancio (2013-2019)

  • 2013: ILVA passa sotto commissariamento statale per salvarla dal fallimento.
  • 2017: Viene ceduta ad ArcelorMittal, colosso dell’acciaio, con l’obiettivo di rilanciarla.
  • 2019: ArcelorMittal annuncia il disimpegno a causa di perdite economiche.

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