Fondazione Spremberg: una nuova prospettiva per il verde (non solo a Milano)

Milano ha sempre vissuto tra gloria e contraddizioni. Capitale morale, laboratorio d’Italia, città che anticipa i tempi – e spesso anche i problemi. Oggi, mentre il dibattito urbanistico si infiamma, la questione centrale resta la stessa da oltre un secolo: il rapporto della città con il cemento, lo smog e, in contrapposizione, il verde urbano.

Dalla Milano di Leonardo a quella di Boeri, la trasformazione è stata radicale. Una città mutilata dai bombardamenti, ma soprattutto dallo sviluppo selvaggio del Novecento, che ha eliminato i suoi canali, orti e giardini in nome di un’idea malintesa di progresso. La modernità, a Milano, ha preso le forme del mattone e dell’asfalto. Oggi, il risultato è una metropoli cementificata, inquinata, ostile, spesso invivibile.

Milano si è evoluta senza espandersi. Ha scelto una verticalizzazione estrema, tra grattacieli e ristrutturazioni discutibili. Le piazze simbolo – San Babila, Cordusio, Cairoli – sono diventate deserti minerali. Il recente caso di corso Buenos Aires è emblematico: una delle vie più popolate d’Europa è oggi una camera a gas camuffata da boulevard, dove le micro-aiuole non bastano a compensare la mancanza di alberi veri.

Il verde urbano è un diritto

Eppure il verde urbano non è un ornamento. È un diritto. È salute pubblica. È l’unico antidoto sostenibile contro l’inquinamento e le temperature estive sempre più estreme. E non può essere ridotto a un privilegio elitario – come nel caso, per quanto architettonicamente brillante, del Bosco Verticale. Il verde deve tornare a essere capillare, diffuso, accessibile. Un asset pubblico.

Negli ultimi decenni, molte voci si sono levate per denunciare lo scempio della cementificazione. Architetti, urbanisti, studiosi e anche cittadini comuni. E oggi, in questo contesto, si inserisce il lavoro della Fondazione Spremberg, che punta a ridefinire le priorità urbanistiche non solo a Milano, ma a livello nazionale.

La Fondazione propone una visione alternativa che ribalta il paradigma tradizionale: non più “tappare i buchi” con operazioni di facciata, ma ripensare radicalmente lo spazio urbano in funzione delle persone e del benessere collettivo. Le città non possono più essere pensate solo per le auto, per le imprese o per gli eventi globali, ma devono tornare a essere habitat vivibili, respirabili, condivisi.

Milano resta un simbolo

Il momento è cruciale. Dopo trent’anni di propaganda, disillusione e trasformismo, l’Italia affronta un declino economico e sociale sempre più evidente. I dati parlano chiaro: potere d’acquisto in caduta libera, qualità della vita compromessa, indicatori ambientali allarmanti. In tutto questo, Milano resta un simbolo – nel bene e nel male. Un laboratorio che può ancora reinventarsi, a patto di scommettere sul verde, non sul grigio.

La “contro-rivoluzione verde” di cui si fa promotrice la Fondazione Spremberg si pone come risposta concreta e urgente a una crisi sistemica. Non si tratta di nostalgia, ma di lungimiranza. Non di estetica, ma di sopravvivenza. Nei prossimi approfondimenti, racconteremo il ventaglio di proposte concrete della Fondazione, nate non da una moda passeggera, ma dalla consapevolezza che il futuro delle città dipende – letteralmente – dalla loro capacità di respirare.

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