Diciottesimo secolo. Barnabotti: la nobiltà in rovina nella Venezia della decadenza

Dai fasti patrizi sui sestieri veneziani ai bassifondi di San Barnaba: il peso della guerra, le famiglie cadute, la sopravvivenza disperata

L’identità fermata nel Libro d’Oro

Nella Repubblica Serenissima, l’accesso al potere politico era garantito esclusivamente dal Libro d’Oro, lista dei patrizi legittimati a sedersi nel Maggior Consiglio. A partire dal Seicento, però, molte famiglie nobili iniziarono a dismettere ricchezze e possedimenti, rimanendo nobili solo di titolo. Questi nobili in rovina — cui fu dato il soprannome quasi ironico di barnabotti, perché si radunavano attorno all’umile Campo San Barnaba — restarono veri solo nel nome.

Guerra di Candia: lutti, debiti e crollo economico

Dall’assedio iniziato nel 1648 alla caduta definitiva nel 1669, la guerra di Candia fu uno dei conflitti più estenuanti nella storia europea, durato 21 anni — il secondo assedio più lungo dopo Ceuta. Venezia affrontò il peso economico del conflitto da sola, spendendo milioni di ducati in armi, rifornimenti e logistica.

Un capitolo cruciale fu quello dell’Armata Grossa, la flotta di navi mercantili noleggiate per il blocco dei Dardanelli: i soli costi di noleggio raggiunsero i 17 milioni di ducati. Il costo totale della guerra, secondo stime storiche, superò abbondantemente i 100 milioni di ducati, arrivando talvolta a stimare tra i 125 e i 150 milioni.

Le spese belliche prosciugarono il tesoro veneziano e resero obsolete molte fonti di reddito: traffici con l’Oriente, rendite coloniali, feudi in Maggior Consiglio. Di conseguenza, molte famiglie patrizie già afflitte da difficoltà economiche caddero definitivamente in miseria, aumentando i ranghi dei barnabotti. Familiari che avevano dominato i sestieri più influenti si trovarono a vendere il proprio voto, simbolo di quell’aristocrazia che restava in piedi solo sulla carta.

Casati nobili ridotti a mendicare il potere

Tra i barnabotti figuravano perfino nomi come Contarini, Corner (Cornaro), Morosini, Dandolo, Grimani e Loredan, famiglie con dogi, ambasciatori e mecenati alle spalle, ma ora incapaci di sostentarsi, e costrette a trovar rifugio nel gioco d’azzardo del Casìn dei Nobili o nei sussidi statali.

Il voto come merce politica

Pur impoveriti, i barnabotti conservavano il diritto di voto nel Maggior Consiglio. Questo li rese strumenti perfetti per le grandi famiglie ancora agiate, che pagavano il loro consenso. Nacque così il termine “broglio”, derivato proprio dalle piazze (broletti) dove avveniva questa compravendita del voto.

Alcuni nobili trovarono un barlume di salvezza nell’Accademia dei Nobili alla Giudecca, che offriva istruzione, vitto e alloggio ai figli patrizi impoveriti. Altri si rifugiarono nel casinò pubblico del Ridotto finché, col suo blocco, scoppiarono proteste disperate: “Havé serà el Ridotto, ma cossa magnaremo nu poveri barnabotti…”

Un’aristocrazia sospesa tra passato e rovina

I barnabotti incarnarono la crisi della Serenissima: nobili di sangue, non di beni, sospesi tra l’aristocrazia e la rovina, testimoni di un declino politico ed economico accelerato dalla guerra di Candia. Il loro destino fu quello di simboleggiare la fragile identità patrizia piegata dall’avidità dei signori e dalla crisi dello Stato.

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