Greenwashing sotto tiro, “greenhushing” in ascesa e nuove regole UE/UK: come cambiano messaggi, canali e immagini nel 2025
Greenwashing: indica la pratica di presentare un prodotto, un servizio o un’azienda come più sostenibile o rispettoso dell’ambiente di quanto non sia in realtà. È una strategia comunicativa ingannevole che utilizza slogan, immagini o certificazioni poco trasparenti per dare un’impressione “verde” senza che vi sia un reale impatto positivo o una riduzione misurabile delle emissioni. La Direttiva (UE) 2024/825 considera greenwashing le affermazioni ambientali vaghe e non comprovate, come “eco-friendly”, “climate neutral”, “100% green”, se prive di basi scientifiche verificabili.
Greenhushing: è il fenomeno opposto: le aziende scelgono di non comunicare (o comunicare il minimo possibile) i propri obiettivi e progressi in materia di sostenibilità, pur avendo iniziative reali in corso. È spesso una reazione difensiva al rischio di critiche, accuse di greenwashing o sanzioni regolatorie. Secondo Reuters, sempre più multinazionali parlano meno delle loro strategie ESG per timore di “landmines”, preferendo focalizzarsi sull’esecuzione interna piuttosto che sulla narrazione pubblica.
La sostenibilità non si racconta come cinque anni fa
Nel 2025 la cornice è duplice: da un lato i regolatori europei e britannici accelerano (e in parte ricalibrano) le norme anti-greenwashing; dall’altro le aziende misurano le parole per paura di contenziosi o backlash, alimentando il “greenhushing”. In mezzo ci sono audience frammentate per età, con abitudini media molto diverse. Tradurre tutto questo in una comunicazione efficace, chiara, verificabile e calda è possibile.
La prima lezione arriva dalla pubblicità: nel Regno Unito l’Autorità per gli standard pubblicitari ha vietato uno spot radio di Virgin Atlantic che presentava un volo “100% sustainable aviation fuel”, giudicato potenzialmente fuorviante per il pubblico. Il messaggio dovrà essere accompagnato da “qualifying information” per non attribuire ai carburanti sostenibili proprietà che non hanno. Un caso-simbolo che chiarisce la soglia probatoria attesa quando si parla di impatti ambientali.
La cornice normativa (aggiornata): cosa cambia tra Bruxelles e Londra
L’UE ha approvato nel 2024 la Direttiva (UE) 2024/825 “Empowering Consumers”, che inserisce i comportamenti di greenwashing tra le pratiche ingannevoli e mette nel mirino tra l’altro etichette non certificate, claim generici (“eco-friendly”) e affermazioni basate su offset non pertinenti. Gli Stati membri devono recepire le nuove regole entro il 27 settembre 2026.
Sul fronte della Green Claims Directive (la norma che avrebbe imposto verifiche ex-ante e standard comuni per i claim ambientali) la Commissione ha sospeso i negoziati nel giugno 2025, ventilando il ritiro per oneri eccessivi sulle microimprese. In aula si è levata la protesta dei relatori del Parlamento: «Today’s victims are European consumers and companies that are truly sustainable», ha dichiarato l’eurodeputato Tiemo Wölken. Il messaggio per i comunicatori è chiaro: anche senza la GCD, l’asticella della verificabilità resta alta.
Nel Regno Unito, dal 6 aprile 2025 la Competition and Markets Authority può comminare direttamente sanzioni fino al 10% del fatturato globale per violazioni del diritto dei consumatori, inclusi i claim ambientali ingannevoli. Per il fashion la CMA aveva già inviato una guida dedicata e “lettere di avviso” a grandi brand; nel 2024 Asda, Asos e Boohoo hanno accettato impegni su etichette e informazioni di prodotto dopo l’indagine del regolatore.
“Greenhushing”: perché i brand parlano meno (e come uscirne bene)
Le aziende sono sulla lama di un rasoio: comunicare progressi senza esporsi ad accuse di greenwashing. «There’s so many landmines in some of these areas», ha spiegato a Reuters la sustainability chief di Asahi. E ancora: «A lot of companies are hesitant, including us, to talk about any of our sustainability work», finché non ci sono risultati misurabili. Il fenomeno, battezzato greenhushing, è particolarmente visibile negli USA, ma non risparmia l’Europa.
In parallelo, gruppi come Unilever stanno ritarare organizzazione e narrativa, fondendo sostenibilità e comunicazione esterna per concentrarsi sull’esecuzione più che sullo slogan. Secondo il Financial Times un segnale, per i team comunicazione, che il baricentro si sposta su metriche, governance e priorità concrete.
Generazioni: oltre il luogo comune “solo i giovani sono green”
Stereotipi alla mano, si rischia di sbagliare target e messaggio. Un’analisi presentata da Reuters su base Bain (23.000 consumatori) mostra che i Baby Boomer risultano preoccupati per l’ambiente quasi quanto la Gen Z, mentre il prezzo resta un freno trasversale: «Baby boomer consumers as likely to be concerned on environmental issues as Gen Z». La disponibilità a pagare di più per il “sostenibile” esiste, ma entro premi ragionevoli, secondo Reuters
Per canali e formati, il quadro è mutato: nel Regno Unito le piattaforme online hanno superato la TV come fonte principale di notizie, con un uso di TikTok, YouTube e Reels particolarmente forte tra i 16-24enni; ma il pubblico più maturo continua a preferire TV, stampa e newsletter. Anche in Australia i social hanno superato per la prima volta le fonti tradizionali come porta d’accesso all’informazione. Per chi comunica la sostenibilità, questo significa adottare una doppia cadenza: video brevi e verticali per i più giovani, approfondimenti chiari e ordinati (articoli, email, report) per Boomers e Gen X.
Immagini e trasparenza: cosa funziona davvero
Le immagini possono rendere intuitivi concetti complessi (ciclo di vita, impatti, trade-off), ma devono essere autentiche, contestuali e proporzionate per non scivolare nel greenwashing. I casi sanzionati da ASA Advertising Standards Authority, nel Regno Unito, dal lessico generico fino ai claim su carburanti “puliti” mostrano che il problema non è mostrare una foresta o un pannello solare, bensì suggerire impatti assoluti senza basi (zero emissioni, neutralità totale, “100% green”). Laddove si usano immagini, indicare la metodologia accanto al visual (es. percentuali di riciclato, confini del perimetro, anno base, fonte) è diventato un requisito reputazionale, oltre che prudenziale.
Dalla strategia al copy: linee guida pratiche, generazione per generazione
Per Gen Z e Millennial, che consumano notizie e contenuti su feed e video brevi, funziona una narrazione modulare: micro-storie concrete, before/after misurabili, formati verticali, Q&A con product manager o tecnici, link di secondo livello a metodologie e report. Evitare la promessa-mantra e privilegiare i “progressi trimestrali” con numeri e limiti dichiarati. Il contesto mediatico premia chi offre prove visive ma anche caveat chiari (cosa è incluso, cosa no).
Per Gen X e Boomer, che continuano ad affidarsi a canali più tradizionali e cercano chiarezza e comparabilità, servono schede sintetiche con indicatori costanti (baseline, target, stato di avanzamento), glossario e rimandi a verifiche terze. La sostanza pesa più della creatività: numeri coerenti e un perimetro ben definito valgono più di claim emozionali. E ricordiamolo: l’interesse ambientale non è appannaggio esclusivo dei più giovani.
Evitare le trappole più comuni (e stare dentro le regole)
Alla luce delle norme UE e UK e della giurisprudenza recente, tre attenzioni contano più di tutto:
Bandire i generici: “green”, “sostenibile”, “rispettoso dell’ambiente”: senza specifiche puntuali rischiano l’illiceità. Se si usa un’etichetta, deve poggiare su schemi di certificazione riconosciuti.
Offset sotto controllo: affermazioni basate su compensazioni esterne al ciclo di vita del prodotto sono nel mirino. Se si citano, spiegare come, dove, con che standard e quale quota dell’impronta resti non mitigata.
Proporzionalità del messaggio: evitare assoluti (zero, 100%) e promesse non datate; chiarire il perimetro (stabilimento/prodotto/linee di business), gli scenari e le incertezze. L’esperienza ASA sui carburanti sostenibili mostra quanto una singola parola possa fare la differenza tra informare e fuorviare.
Credibilità prima di tutto
Nel 2025, la comunicazione sulla sostenibilità efficace è intergenerazionale ed evidence-based. Parla linguaggi diversi senza rinunciare a un unico standard di prova; mette al centro metriche, limiti e contesto, non slogan; usa immagini per spiegare, non per semplificare eccessivamente. E sa che il silenzio “difensivo” (greenhushing) non paga: meglio raccontare progressi parziali ma verificati che promettere la luna. Come ricordava una manager intervistata da Reuters, oggi «le aziende sono esitanti…»; ma proprio per questo, chi comunica con trasparenza può guadagnare un vantaggio reputazionale duraturo.
Fonti principali citate
– Direttiva (UE) 2024/825 “Empowering Consumers” e stato della Green Claims Directive; analisi e tempistiche di recepimento. Reuters
– Sospensione della Green Claims Directive e citazioni dei relatori del Parlamento europeo. AP News
– ASA: stop allo spot Virgin Atlantic su “100% sustainable aviation fuel” e richiesta di informazioni qualificanti. TIMEFinancial Times
– UK: nuove poteri sanzionatori CMA (fino al 10% del fatturato globale) ed enforcement su fashion. KPMGGOV.UKThe Guardian
– “Greenhushing” e citazioni da Reuters su disclosure ESG. Reuters
– Cambiamenti nelle abitudini news tra generazioni (UK e Australia). Financial TimesThe Guardian
– Stereotipi da superare: preoccupazione ambientale anche tra i Boomer (Reuters su studio Bain). Reuters