Polonia. Che cosa sta succedendo?

È del 7 ottobre scorso la sentenza della Corte costituzionale polacca che sta facendo discutere negli ultimi giorni. Al centro del dibattito il rapporto con l’Unione europea, e il suo “primato” sulla legge nazionale.

Come noto, la regola generale è che la legge europea prevale su quella nazionale degli Stati Membri. La ragione è chiara: introdurre una normativa sovranazionale in grado di armonizzare gli ordinamenti su tutto il territorio comunitario.
In concreto, è tuttavia possibile che una norma nazionale confligga con quella europea. Ora, se si tratta di una norma di legge prevista dal Parlamento, prevale – ovviamente – la norma europea. Ma se, invece, si tratta di una norma costituzionale, si pongono seri problemi di conflitto. Ed è proprio ciò che è successo nel caso della Polonia.

C’è da dire che questa presa di posizione così forte da parte della Polonia sembra muovere da motivazioni essenzialmente politiche, da quando nel 2017 ha assunto la guida del Paese il partito – spiccatamente conservatore – Diritto e Giustizia.

Polonia, un passo indietro

Ma facciamo un passo indietro per capire quello che è successo alla Corte costituzionale qualche giorno fa, e torniamo a quest’estate.

A luglio, la Corte di Giustizia europea intima di bloccare la sezione disciplinare della Corte suprema polacca, che ha il compito di sanzionare gli illeciti disciplinari dei magistrati, ritenendola non del tutto imparziale. Di tutta risposta, il Tribunale costituzionale della Polonia deduce l’incostituzionalità dell’applicazione di ordini della Corte di Giustizia al sistema giudiziario polacco. Palla all’Unione, che dichiara l’intero sistema disciplinare del governo polacco incompatibile con la normativa europea.

E così arriviamo ad oggi, quando il presidente della Repubblica polacco chiede alla Corte costituzionale di pronunciarsi, più in generale, in merito alla compatibilità dei Trattati europei (ai quali, ricordiamo, la Polonia ha ovviamente aderito) con la Costituzione. Per farla breve, la Corte costituzionale polacca si pronuncia, rivendicando il primato della propria legge nazionale su materie che (a suo avviso) non sarebbero state attribuite alla competenza esclusiva dell’Unione. Tra queste, il sistema giudiziario polacco nel suo complesso.

È solo la punta dell’iceberg questa sentenza dello scorso 7 ottobre, che affonda le sue radici in una questione ben più risalente. Il fil rouge è, nel caso della Polonia, una perpetuata violazione dei valori fondanti dell’UE, ma altrove il dibattito ha assunto caratteri ben più spiccatamente giuridici: basti pensare ai casi che hanno interessato la nostra Corte costituzionale e quella tedesca. In realtà, va detto che il tema del conflitto tra normativa nazionale e sovranazionale, pur prestandosi bene a strumentalizzazioni di natura politica, di fatto costituisce da sempre una controversa questione di diritto.

Ma allora, in presenza di violazioni sulle quali si è pronunciata la Corte di giustizia, quali potrebbero essere i prossimi provvedimenti dell’Unione europea? E perché non opta per l’espulsione della Polonia? Innanzitutto, perché – paradossalmente – l’Unione non possiede uno strumento che consenta di espellere uno Stato membro. Ma anche se così non fosse, la sua estromissione avrebbe di riflesso conseguenze non da poco, oltre che politiche, anche per i cittadini polacchi e per quelli degli altri Stati membri.

In assenza di un accordo tra l’Unione e la Polonia, quindi, l’unica altra ipotesi concretamente percorribile è che sia la Polonia stessa a decidere di uscire dall’Unione europea… Che sia l’inizio di una “Polexit”?

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