“Non portiamo i bambini in guerra anche nel mondo digitale”: l’appello del Garante per la Privacy

Le raccomandazioni del Garante

“Basta con i volti disperati dei bambini in televisione, sui giornali e sui social network. Evitiamo di portare, almeno i più piccoli, in guerra una seconda volta, nella dimensione digitale”. Si è pronunciato in questo senso il Garante per la Protezione dei Dati italiano, nel tentativo di sensibilizzare i media e gli utenti dei social network.

L’immagine dei bambini, al pari di un qualsiasi dato personale (con l’aggravante della minore età dell’interessato!) dovrebbe essere utilizzata dal sistema mediatico solo in situazioni in cui si rivela strettamente necessaria. “Quelle fotografie e quei dati, nella dimensione digitale, perseguiteranno quei bambini per sempre e, magari, in molti casi li esporranno a conseguenze discriminatorie di carattere sociale, culturale, religioso o politico di ogni genere”, continua il Garante, “conseguenze, forse, oggi, in molti casi persino imprevedibili”.

Il bilanciamento dei diritti

Questo non significa, ovviamente, oscurare quanto sta accadendo in queste settimane in Ucraina, ma il monito del Garante dovrebbe spingere i media ad effettuare un giusto bilanciamento tra il diritto all’informazione e quello alla protezione dei dati personali. Una soluzione potrebbe essere quella di oscurare i volti delle persone riprese in primo piano, in modo tale da non deteriorare la qualità della notizia, ma consentire allo stesso tempo un’efficace tutela dell’immagine. In sostanza, come regola generale, i dati personali devono essere centellinati, a meno che la loro diffusione non sia strettamente necessaria.

 

Ma questo escamotage permetterebbe davvero di conservare intatto il valore della notizia? Quante persone, in attesa di una telefonata della propria famiglia, hanno riconosciuto i corpi senza vita dei propri cari in una delle numerose testimonianze fotografiche disseminate sui social network? E quanti di loro, una volta finito questo incubo, si batteranno in un’aula di tribunale per la tutela del proprio diritto alla riservatezza?

Forse, per questa volta, la condivisione degli effetti devastanti di una guerra può essere considerata più importante della tutela dell’immagine di chi ne ha preso parte?

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