Un bacio sulla guancia. Il Baciparsimonioso

Un bacio sulla guancia — Il Baciparsimonioso

— di Annachiara De Rubeis

Mi ha lasciato con un bacio sulla guancia. Come se quel bacio fosse tutto ciò che dovessi sapere. Ma l’unica cosa che sapevo era che con quel piccolo bacio innocente sulla guancia, qualsiasi tempesta si sarebbe placata. Perché tutto quello che avrei voluto in realtà da lui era che mi vedesse ancora con gli occhi di prima. Volevo che mi vedesse di nuovo con stima, non con biasimo e sdegno, o con paura che io non fossi abbastanza. Tutto ciò che ora ricordo di probabilmente tre giorni di continui litigi e battibecchi e sfide e sbuffi e altri comportamenti irritanti è un bacio sulla guancia, perdipiù durato due secondi. Sembra di sì, sono qui a scrivere di questo e non dell’infinità di cose che ci siamo detti durante tutto il nostro tempo insieme nelle vacanze di Pasqua, e su quanto mi facesse soffrire la nostra situazione, il nostro rapporto ormai fragile e precario.

Sto cristallizzando un evento, lo sto formalizzando perché in me ha sprigionato una meraviglia tale da aver superato la mia immaginazione. Ma quello che lo rende una meraviglia è questo: io che scrivo come rapita da quel momento, appena uscita dalla doccia, seduta in accappatoio dopo due giorni che è successo e, non so per quale motivo, ma credo di star piangendo nel frattempo; io che sto rivivendo quel momento: è resuscitato in me e ora mi travolge; io che cerco ogni giorno di ricongiungere questa frattura soffro e mi sforzo di fare del mio meglio, anche se non sempre ci riesco; io che cerco di raccontare quello che resta di questa nostra storia; io che quando mi chiedono di noi trattengo le lacrime; io che non ho fatto in tempo a godere dei momenti insieme che subito me li hai negati, per il mio e per il tuo bene; io, che sento tutto di questo strappo, di questa frattura che ci separa, sempre fresca. Io, che, nonostante ciò, tendo comunque a te e tutto ciò che di bello ti appartiene.

Questo è un evento per me, è il mio evento. “Avrei un milione di cose da dirti, ma..”.

Sto per firmare la lettera di rinuncia agli studi di filosofia, sto facendo una ricerca che sembra infinita, sulla nuova facoltà da scegliere che sia il più possibile adatta a me; ho un sacco di pensieri sulle tante cose da fare, in più sono riaffiorate vive più che mai paure e speranze, alcune nuove, altre sempre le stesse. Forse è una nuova forma di amore. Forse è l’amore di quando si fa grandi e più maturi: sai che avresti un milione di cose da dirgli e vorresti sbattergli il tuo cuore in faccia, ma non dici niente. E nessuno sa cosa succederebbe se spezzassi quella magia, se rompessi il silenzio e parlassi. Sembra quasi un gioco.

È come suonare uno strumento in due. Certo potresti suonarlo solo tu, e se sei bravo la melodia che vuoi intonare sarebbe comunque ottima, in tutto quello che vorresti esprimere. Ma la melodia perfetta, per quanto mi costi ammetterlo, si fa in due. I due innamorati suonano per lo stesso violino, devono trovare la loro melodia, in un’orchestra di sinfonie. Un violino, due innamorati. È un gioco. Siamo su una corda, io sono su una estremità, lui sull’altra. Vince la coppia di innamorati che riesce a stendere il più possibile la corda di violino, per far uscire la perfetta melodia. Ma attenzione, un passo falso e la corda così tesa rischia di spezzarsi.

Devi imparare ad aspettare e a cogliere il momento giusto. Si gioca per l’amore della sinfonia unica che può scaturire. E più la corda è tirata, più rischia di spezzarsi, più tu rispondi a quella sofferenza andando avanti, spingendo oltre piano piano i limiti, più la sinfonia può regalarti un momento unico. Bisogna averne cura. Vorresti dire-dire-dire, ma allo stesso tempo preferisci ascoltare, dire lo stretto necessario, o parlare del più e del meno. Io che tendo da una parte, lui dall’altra, ma siamo lo stesso filo.

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