Matteo Messina Denaro: i criminali perdono il diritto alla riservatezza?

Dell’arresto del boss mafioso Matteo Messina Denaro, nelle scorse settimane, se n’è sentito parlare in tutte le salse. Come si è sentito parlare del suo stato di salute, della sua vita sessuale e di tanti altri dettagli personalissimi.

Da un lato, il diritto di cronaca, invocato dai giornalisti per giustificare lo spasmodico bisogno di condivisione anche degli aspetti più intimi di chiunque; dall’altro, però, il diritto alla riservatezza di un uomo che, prima di essere quello che è stato, è un uomo con libertà e diritti inviolabili propri dello Stato di diritto che è l’Italia.

È proprio su questo tema che si è espresso l’avvocato Guido Scorza, componente del Collegio del Garante per la Protezione dei Dati Personali, con un intervento del 19 gennaio scorso.

“Il Tribunale dei media e quello dei social network – scrive l’avvocato – emettono sempre sentenze tagliate con l’accetta, decisioni binarie, bianche o nere. Si è colpevoli o innocenti e, nel primo caso, si perde ogni diritto e ogni libertà anche quando la legge le riconosce a chiunque, a prescindere dall’intensità del suo profilo criminale”.

Scorza sottolinea l’evidente contraddizione che è stata messa in scena in occasione dell’arresto del boss di Cosa Nostra. Mentre si festeggiava il trionfo della democrazia, compromessa per tanti anni, si violavano i principi su cui, la stessa democrazia, si fonda.

Senza, peraltro, che ce ne fosse davvero bisogno: i dettagli della cartella clinica di Denaro, in realtà, non aggiungono niente rispetto alla latitanza o all’arresto. Sarebbe stato sufficiente un riferimento alla malattia, senza alcuna necessità di citare lo stadio del tumore, l’organo colpito, la frequenza delle visite mediche, e così via. Così come non sarebbe stato necessario raccontare, con dovizia di particolari, la latitanza ispirata alla “bella vita”.

Qual è il confine tra pubblico e privato? E quello tra diritto alla cronaca e quello alla riservatezza? Certo, sono molte le situazioni in cui posizionare questo limite potrebbe destare dei dubbi. Ma non è questo il caso, perché questa volta sono la legge e i codici deontologici, che i giornalisti sono tenuti a rispettare, a segnalarci qual è il confine che non può essere superato.

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