Cinque musiciste hanno fatto dalla loro passione il loro mestiere
Isabel Longato (flauto), Paola Scotti (oboe), Ludovica Butti (corno), Maura Gandolfo (clarinetto) e Orsolya Juhasz (fagotto), cinque musiciste professionali si sono incrociate e hanno condiviso momenti musicali per breve o per lungo tempo della vita in orchestre in Italia e all’estero e poi si sono ritrovate nel territorio di Como.
La passione per la musica e per suonare è irresistibile
Un giorno decidono di suonare insieme e si uniscono in un ensemble di particolare bellezza, timbro ed interessante repertorio; cioè nel Quintetto di fiati.
A differenza del quartetto d’archi, in cui il colore sonoro è molto omogeneo, gli strumenti del quintetto di fiati si differenziano molto per il loro timbro e la loro tecnica. Ogni strumento ha delle specificità timbriche uniche e questo rende molto interessanti le composizioni e i giochi sonori che un buon gruppo è in grado di trasmettere.
E’ stato ai tempi di Giuseppe II nel Settecento a Vienna che il quintetto di fiati inizia a strutturasi. Con le composizioni di Anton Reicha intorno al 1811, e con i quintetti composti da Franz Danzi si stabilisce definitivamente il genere. Il quintetto di fiati è una formazione standard e di conseguenza il repertorio è molto vasto, divertente e bello.
Il quintetto Briar Rose
L’intento del quintetto Briar Rose (nella foto – ph. credits Andrea Basciè) quello di condividere questo ampio repertorio composto per questa formazione anche nelle sue declinazioni, come per esempio i meravigliosi sestetti con pianoforte.
In orchestra le scelte musicali sono responsabilità del direttore d’orchestra, invece nell’ensemble di musica da camera le scelte musicali sono nelle mani delle musiciste. Sono loro il direttore d’orchestra. Queste rende suonare insieme in ensemble così emozionante e stimolante. Oltre alla musicalità si richiede versatilità e una buona dose di elasticità, per smussare le eventuali divergenze di idee.
Certamente il nome Briar Rose suscita qualche curiosità. Il nome si riferisce alla rosa selvatica, presente in Italia da lungo tempo e le cui proprietà curative sono note fin dall’antichità. Plinio il Vecchio, scrittore, naturalista, filosofo e comandante militare nato a Como, la cita nel suo capolavoro “Naturalis Historia”, documento fondamentale del sapere scientifico dell’antichità. La rosa selvatica ispirò nel Settecento lo scrittore della fiaba di Charles Perrault “La bella addormentata”, come pure nel 1812 la versione dei fratelli Grimm in cui divenne simbolo di femminilità ed eleganza sognante. Alla fine del XIX secolo, il pittore preraffaellita Edward Burne-Jones, nel suo ciclo “La leggenda di Briar Rose”, ci trasporta in un mondo di pura bellezza con colori che tendono al fantastico e raffinato virtuosismo, il cui unico fine è “l’arte per l’arte”, simbolo di eleganza, bellezza e libertà.
È a queste atmosfere che il quintetto Briar Rose si ispira e la musica risuona. Come Sir Edward Jones anche le cinque musiciste di Briar Rose lasciano il finale della fiaba all’immaginazione del pubblico, decidendo di affidarlo non alla prosa, ma alla più sublime delle arti: la musica.