Continuano le proteste degli ambientalisti nei musei

Nelle ultime settimane assistiamo sempre più frequentemente a episodi di protesta nei musei, dove gruppi di attivisti, nel tentativo di attirare l’attenzione sulla causa ambientale, finiscono per imbrattare le opere esposte. Davvero la zuppa lanciata su un Van Gogh o la torta spalmata sulla Gioconda riusciranno a sensibilizzare il pubblico sulla delicata questione ambientale? Davvero l’ambiente si salverà mettendo in pericolo l’arte? O si tratta solo di “fare rumore”?

Tra i tanti episodi, lo scorso 30 giugno il gruppo ambientalista Just Stop Oil ne ha messa a segno un’altra nella galleria Courtauld di Londra: due attivisti si sono letteralmente incollati alla cornice dell’opera di Van Gogh “Peschi in Fiore”, del 1889, causando danni stimati in circa duemila euro.

Questa volta, però, le cose sono andate diversamente, e i due attivisti non sono riusciti a farla franca: Emily Brocklebank, 24 anni, e Louis McKechnie, 22 anni, sono stati condannati dalla Corte di Westminster rispettivamente ad una pena di 6 settimane di domiciliari e 3 settimane di carcere.

Con il loro gesto, si spiega nella sentenza, gli attivisti avrebbero danneggiato permanentemente la cornice, realizzata nel diciottesimo secolo, che non potrà “tornare al suo stato originale”, dal momento che la colla usata dalle attiviste avrebbe creato un danno “sostanziale” al legno.

Deboli le argomentazioni dei due attivisti, che hanno cercato di appellarsi alla libertà di espressione, tutelata dalla CEDU, e al fatto che “ogni buon essere umano” dovrebbe essere “d’accordo con il tentativo di sostenere la vita sulla Terra”. Nulla che, ad avviso della Corte, possa però giustificare un simile gesto nei confronti dell’arte.

Una reazione di questo tipo da parte delle autorità sarà sufficiente a scoraggiare altre proteste?

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