Corte europea dei Diritti dell’Uomo: una sentenza storica

«I tribunali civili italiani hanno turbato l’equilibrio psicologico ed emotivo dei bambini, costretti ad incontrare l’uomo in un ambiente in cui non è stata garantita loro protezione». Così la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte EDU, il 10 novembre scorso, ha accolto il ricorso di una donna e dei suoi due figli, costretti per anni a frequentare il padre tossicodipendente, alcolizzato e con precedenti per violenza domestica, come conseguenza della decisione dei tribunali italiani che si erano occupati del caso.

La violazione dell’articolo 8 della Convenzione

Nello specifico, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha rilevato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, che stabilisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

In particolare, sostiene la Corte, sarebbero stati violati i diritti umani dei minori nella misura in cui i tribunali non avrebbero sospeso gli incontri con il padre, proseguiti invece per più di 2 anni, che hanno causato un’alterazione dell’equilibrio psicologico ed emotivo dei bambini, come peraltro confermato dai servizi sociali.

Durante tali incontri, infatti, il padre adottava un comportamento ritenuto “aggressivo, distruttivo e incurante”, complice anche l’aver interrotto la propria terapia di recupero.

La sospensione della responsabilità genitoriale della madre

Come se non bastasse, i giudici italiani hanno anche sospeso la responsabilità genitoriale della madre dal 2016 al 2019, considerandola “ostile” ai contatti tra i bambini e il padre, per il semplice fatto che si rifiutasse di partecipare.

E, a detta della Corte, i giudici italiani non avrebbero avuto abbastanza prove a sostegno di una decisione tanto dura.

Non una semplice pronuncia

Se da un lato la Corte EDU ha riconosciuto solo 7 mila euro di risarcimento per ciascun bambino, al posto dei 130 mila richiesti nel ricorso, dall’altro si esulta per la pronuncia di una “sentenza storica”. Così l’Associazione Differenza Donna ha definito la decisione della Corte, proprio perché si considera una «prassi diffusa nei tribunali civili considerare le donne vittime di violenza domestica che non adempiono all’obbligo di effettuare gli incontri dei figli con il padre e che si oppongono all’affidamento condiviso come “genitori non collaborativi”».

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