Fotografia. Reportage: viaggio in tre accademie navali negli anni ’70

ARGOMENTO: REPORTAGE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: ACCADEMIE NAVALI
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Il fotografo free-lance, ogni mattina, appena apre gli occhi, deve pensare a come pagare le bollette e quindi deve far funzionare il cervello ad una certa velocità, cercare notizie e spunti per poi andare a fotografarli.

Negli anni ’70 avevo trovato che un buon metodo per pagarmi da vivere era viaggiare e, in ogni paese dove andavo, riuscire a scattare diversi reportage con tematiche diverse, da vendere poi alle diverse riviste. In pratica facevo una decina di reportage per ogni viaggio, che andavano dalle barche tipiche locali, che davo a Mondo Sommerso, alla medicina, piuttosto che un famoso medico del luogo, strettamente destinati al mensile Salve e, via di questo passo, fino alle … accademie militari o ai corpi speciali del luogo che poi vendevo a Storia Illustrata. Guardando nei miei archivi ho trovato queste foto che, con gli occhi di oggi, mostrano tanti giovani, della stessa età, di Paesi molto distanti fra loro, effettuare addestramenti molto simili che si tramandano nel tempo con lo scopo comune di farli diventare futuri ufficiali di marina.

Accademie Navali

Scattai fotografie diversi ambienti militari in vari paesi e, tra questi, voglio raccontarvi oggi tre Istituti di formazione per futuri ufficiali:  l’accademia navale statunitense di Annapolis nel Maryland, quella giapponese a Eta Jima e poi, senza andar troppo lontano, quella italiana a Livorno. Ognuna aveva (ed ha) la sua caratteristica, la sua storia e le sue tradizioni, ma le attività da loro svolte sono straordinariamente simili … la mia sfida dell’epoca era quella di riuscire a trasmettere con poche foto tutto questo.

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In pratica fotografavo prima di tutto quello che mi colpiva, ad esempio la mensa di Annapolis, in cui non avevo mai visto mangiare tanti ragazzi tutti insieme, o la lezione di come si prepara perfettamente una cerimonia del tè (di cui sono “vittime” i cadetti navali nipponici). Poi ovviamente seguivo le attività giornaliere che facevano i cadetti, cercando di tramutarle in immagini. E così a Livorno non potei non fotografare le attività degli allievi sul Brigantino Cappellini, in preparazione alla campagna addestrativa sull’Amerigo Vespucci. In tutte e tre le Accademie mi capitarono degli aneddoti curiosi, rimasti in un angolo del cervello e riemersi scrivendo questo breve racconto che oggi vi propongo.

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Iniziamo da Annapolis, sede della Accademia Navale della Marina Statunitense; dopo tre giorni molto intensi a fotografare, saltando da una parte all’altra a seconda degli orari delle varie lezioni e attività, il tenente delle relazioni pubbliche, che gentilmente mi faceva da guida ed assistente, mi portò sul campo di football americano, dove la squadra della Navy era in pieno allenamento. Mi preparai a fotografare ma arrivarono quattro grossi cadetti con aria minacciosa che ci proibirono non solo di riprendere la squadra ma anche di assistere. Gentilmente ci invitarono a smammare, avendo paura che vedendo l’allenamento, potessimo svelare i loro segreti alla squadra di football della US Army Academy contro la quale ogni anno si volge una seguitissima partita. Il tenente fece chiamare il coach e chi comandava e gli spiegò che ero un fotografo, che venivo da Milano, stavo facendo un reportage su Annapolis e che avremmo dato la parola d’onore che non avremmo detto niente al “nemico”, anche perché dalle foto sarebbe stato impossibile capire la tattica. Niente da fare, permesso negato e tanto per marcare il punto, dissero al tenente che, sul campo da football, neanche l’ammiraglio che comandava l’accademia poteva interferire.

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A Eta Jima fu più complicato: il sergente che mi accompagnava in giro, non parlava inglese e, ad ogni mia richiesta, dovevamo trovare un telefono, chiamare il professore d’inglese, che ovviamente era a lezione in qualche aula; una volta in linea gli spiegavo cosa mi serviva e lui traduceva in giapponese al sergente che, a sua volta, dava la sua risposta in giapponese al professore, che poi me la traduceva e così andavamo avanti. Arrivati al museo dell’accademia, volevo fare un unico scatto, con diversi cimeli importanti della storia della marina dell’imperatore del Sol Levante, e così mostrai al sergente l’oggetto che volevo fotografare e lui aprì la vetrina. Dopo averlo estratto piano piano montammo il set dello stiil-life. Arrivato ad un certo punto, vidi una magnifica giacca blu, con tanto di medaglie e decorazioni, che era perfetta per fare da sfondo ad una katana e ad un binocolo.

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Per finire aggiunsi anche un sestante … ma non ero soddisfatto e rimase un angolo vuoto nella composizione. Volendo riempire con qualche altro cimelio, girai tra le varie teche e vetrine e, finalmente, trovai quello che mi serviva in una teca aperta. Lo presi e lo portai sul set. Sorpresa, era sparita la giacca blu che avevo sistemato tra gli oggetti con tanta cura. Apparve il sergente e cercai di comunicare con la mimica, chiedendogli della giacca. Alla fine capì e mi riportò alla vetrina dove aveva riposto la giacca. Allora gli chiesi di riprenderla, tornammo al set, e mi apprestai a ricomporre la composizione ma lui me lo proibì. Non mi restò che andare al telefono e cercare il professore per spiegargli la situazione. Rincominciai tutto da capo: gli passai il sergente che poi me lo ripassò e avanti così per un buon quindici minuti, quando arrivammo finalmente alla conclusione: non potevo fare una foto mettendo insieme gli oggetti di un ammiraglio (la giacca blu) e il binocolo che era appartenuto ad un semplice capitano, anche se un eroe. Nessun problema rincominciammo da capo … questa volta con attenzione alla gerarchia.

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A Livorno, restai affascinato da come giovani ragazzi di quasi vent’anni si addestravano su quei pennoni … in attività marinaresche che pensavo ormai dimenticate. I giovani cadetti erano tenuti a superare esami impegnativi con professori dell’Università di Pisa, alternando lo studio con attività sportive di preparazione per la loro vita futura … non a caso solo il 30% terminava i quattro anni di studio.

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Ma ero a Livorno … e giocavo in casa e ovviamente andò tutto liscio … o quasi … ovvero finché i rullini non tornarono dal laboratorio che me li sviluppò che, per un errore nei bagni, li colorò tutti di blu. Come da regolamento, mi risarcirono con dei rullini nuovi e tante scuse. Li feci vedere al giornale, che richiamò l’Accademia informandoli che, per cause tecniche, dovevamo scattare nuovamente il tutto. Non ci furono problemi e tornai quindi a Livorno, facendo vedere le pellicole “blu navy”, e ricominciai da capo. Non ho mai capito se mi presero per un’incapace.

Guido Alberto Rossi

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