La Commissione europea mette al bando gli imballaggi di plastica

177 chili di rifiuti da imballaggi: questa è la quantità che ha prodotto in media ogni cittadino europeo nel corso del 2020. Il 20% in più degli ultimi dieci anni, percentuale destinata ad aumentare entro il 2030. Per questo motivo la Commissione europea ha proposto nuove riforme per invertire la tendenza, introducendo sul mercato imballaggi riutilizzabili e sostenibili, e limitando quelli superflui e usa e getta.

Gli imballaggi “chiaramente inutili”

La Commissione ha affrontato il tema di tutti quegli imballaggi di plastica “chiaramente inutili” che ha intenzione di vietare sul mercato. Tra questi, ad esempio, le confezioni monouso in plastica delle bustine da tè o delle capsule per il caffè, gli imballaggi monouso per frutta e verdura, i flaconcini in miniatura per shampoo e bagnoschiuma usati negli hotel. Rientrano in questa categoria anche gli imballaggi utilizzati unicamente a fini di marketing, progettati solamente per rendere più attraenti le confezioni dei prodotti, come le grandi scatole utilizzate per prodotti molto piccoli, o quelle progettate con pareti spesse per dar l’impressione che la quantità di prodotto in esse contenuto sia maggiore.

Le innovazioni per ridurre il consumo di plastica

In primo luogo, la Commissione richiede che le imprese offrano ai consumatori una determinata percentuale dei loro prodotti in imballaggi di plastica riutilizzabili o ricaricabili.

Inoltre, verranno definiti criteri di progettazione per gli imballaggi, sistemi vincolanti di vuoti a rendere su cauzione per le bottiglie di plastica e le lattine di alluminio e saranno chiarite quali tipologie estremamente limitate di imballaggi dovranno essere compostabili, in modo che i consumatori possano gettarli nell’organico.

Quanto al riciclaggio, invece, ogni imballaggio dovrà essere dotato di un’etichetta che chiarisca da quali materiali è composto e, di conseguenza, in quale categoria di rifiuti dovrà essere smaltito.

La “nuova” plastica

Si è detto, quindi, che con la riforma la Commissione punta a un maggiore utilizzo delle plastiche a base biologica, biodegradabili e compostabili. Ma cosa si intende esattamente?

Innanzitutto, la biomassa utilizzata per produrre plastiche a base biologica dovrà provenire da fonti sostenibili, che non danneggino l’ambiente. In sostanza, si richiede ai produttori di utilizzare rifiuti organici e sottoprodotti come materie prime. Tuttavia, la Commissione si è preoccupata anche di contrastare il problema del “greenwashing” (ossia la strategia di comunicazione di alcune imprese, finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale): per questo motivo, bisognerà evitare definizioni generiche sui prodotti di plastica quali “bioplastiche” e “a base biologica”, e dovrà invece essere riportata la quota esatta del contenuto di plastiche a base biologica nel prodotto.

Quanto alle plastiche biodegradabili, invece, dovranno essere limitate ad applicazioni specifiche in relazione alle quali siano comprovati i benefici ambientali e il valore per l’economia circolare. Inoltre, al fine di evitare la dispersione dei rifiuti, le loro etichette dovranno indicare in quanto tempo, in che circostanze e in quale ambiente si biodegradano.

Analogo ragionamento sull’opportunità di utilizzo delle plastiche compostabili a livello industriale. In questo caso, però, gli imballaggi compostabili a livello industriale saranno consentiti solo per bustine da tè, capsule e cialde di caffè, adesivi per frutta e verdura e borse di plastica in materiale ultraleggero. In ogni caso, andrà sempre segnalato che i prodotti sono certificati per il compostaggio industriale, in linea con le norme dell’UE.

Gli effetti della riforma

Si stima che, entro il 2030, la riforma consentirebbe di ridurre le emissioni di gas a effetto serra derivanti dagli imballaggi da 66 milioni di tonnellate a 43 e di diminuire i costi dei danni ambientali per l’economia e la società di 6,4 miliardi di euro.

Oltre all’impatto ambientale non trascurabile, cui mira in prima battuta la riforma, si prevede che anche l’economia dell’Unione europea potrà beneficiarne: entro il 2030 la sola promozione del riutilizzo permetterà di creare oltre 600.000 nuovi posti di lavoro, soprattutto presso le piccole e medie imprese locali. Infine, si registreranno benefici anche per i privati, che potrebbero risparmiare quasi 100 euro all’anno.

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