— di Annachiara De Rubeis — La voce: un viaggio dall’antichità alla ricerca di sé
Bello e maledetto, il ragazzo che mi ha portato via la voce
Uscita dalla sala operatoria, anzi dopo essermi svegliata, la prima cosa che ho pensato è stata Tom, il personaggio del mio libro (che prima o poi spero di pubblicare). Devo finire quel libro, ho pensato. L’operazione alla gola sarebbe stata il pretesto perfetto per continuare a scrivere, perché non avrei potuto parlare per qualche giorno. Tutt’ora che sono quasi guarita mi è rimasta questa buona abitudine.
E così, scrivendo, scoprii che Tom si era portato via la mia voce. Tom è un alto ragazzo biondo che ho incontrato in vacanza l’anno scorso e che poi è diventato uno dei personaggi del romanzo. Tom rappresenta la metafora dell’amore perduto e della libera espressione di sé. Da quando io gli avevo negato il mio amore, perché non ero stata sincera, questo era andato via con lui. La voce era andata via con l’amore. Nella realtà fisica del mio corpo avevo preso un linfonodo, in quella astrale avevo perso la spontanea e corretta comunicazione con me e con gli altri. Da qui sono iniziate le mie ricerche sulla voce e ho scoperto l’esistenza del Vishuddha.
Il Vishuddha, il chakra della gola che governa la libertà d’espressione
Secondo la filosofia yoga, il corpo umano è composto da tre corpi: il corpo fisico, il corpo astrale e il corpo spirituale. Il corpo astrale (energetico) contiene i 7 chakra, o centri energetici, ognuno dei quali ha un significato e un potere unico sulla nostra salute e sul nostro benessere.
Il Vishuddha, spesso chiamato chakra della gola, è il quinto chakra di questo sistema. Il Vishuddha chakra stabilisce una forte connessione con il linguaggio verbale e corporeo e funge da porta d’accesso all’espressione, alla comunicazione e all’autenticità. Deriva dal sanscrito, “Vishuddha” significa “particolarmente puro“. Indica la purificazione dei pensieri, delle parole e delle azioni; ci permette di abbracciare il nostro vero io e di comunicare con chiarezza, onestà e compassione.
Quando l’energia del chakra Vishuddha è squilibrata o bloccata, la comunicazione si interrompe. Ci rifiutiamo di ascoltare il nostro Sé interiore e gli altri, con conseguenze sulle nostre connessioni interne ed esterne. Questo blocco può influire sul nostro benessere emotivo e fisico in molti modi, nonché alla difficoltà di espressione, portando alla difficoltà di comunicare i propri pensieri, le proprie emozioni o esigenze in modo chiaro e sicuro. Questo può comportare la sensazione di non essere ascoltato o di essere frainteso. Un altro sintomo di un blocco in questo punto è il sentirsi poco ispirati e creativamente stagnanti. Questo può portare a una mancanza di ispirazione e all’insoddisfazione negli sforzi artistici.
Sono stata senza la mia naturale voce, per un anno. Molti dicevano che quella rauca era sexy, altri mi hanno conosciuto direttamente così, altri ancora si erano dimenticati come fosse la voce di prima, tanto si erano abituati. In realtà, non avevo nulla di maligno, ma il mio Vishuddha era molto debole.
Dopo l’intervento
Nei giorni precedenti l’intervento, la logopedista mi aveva detto che facevo una fatica enorme a parlare. Diceva che sembrava avessi nel petto un uccellino che volesse essere sprigionato. Poi, quando mi ha rivisto, ha detto che sembravo un’altra persona. Mi sono sentita bene sin da subito, non posso negarlo, nonostante l’ansia tremenda dei giorni precedenti. Ho continuato le mie ricerche sul rapporto tra voce, parola e scrittura, per capire quanto si influenzassero a vicenda. Ecco cosa ho scoperto.
La voce, senza la quale la parola non esiste
La parola non esisterebbe senza la voce. La voce esiste, è effettivamente una cosa di cui apprezziamo anche le qualità, a differenza del pensiero che non vediamo finché non lo verbalizziamo. Sono due concetti inscindibili, prodotti naturali, cioè la parola è naturale, prodotta senza alcun artificio o intervento tecnico. È espressione naturale dell’uomo, perché entra in contatto con il mondo interiore, uno strumento di interazione con la realtà circostante. Caratteristica tipica della mindfulness (e che caratterizza anche gli antichi) è il fatto che ciò che sgomenta l’uomo è l’impossibilità di definire ciò che non è conosciuto. Scrivere ciò che ci dà disagio oggi è una tecnica che viene usata anche in psicoterapia, questo perchè la nominazione è una forma di possesso di qualcosa che ci permette di trattenere e di sapere. Nel momento in cui l’individuo possiede qualcosa, la può combinare con altre conoscenze e questo genera sapere.
Nell’Odissea, se l’aedo è infido merita la morte, perché la sua forza è tale da suggestionare l’uditorio, far fare le cose all’uditorio. Se si considera l’aedo come una forma di celebrità e medium, si può associarlo alle grandi personalità artistiche che parlano a tutto il mondo: musicisti, attori, artisti su canali di comunicazione come YouTube. Allora chi è investito di questa capacità dovrebbe essere chiamato a questa grande responsabilità, ma non è sempre così. Colui che ha la possibilità di esprimersi davanti ad un gran numero di persone, non deve tradire questa possibilità. Nella civiltà greca, la voce non mente mai, idealmente non è menzognera, vista come esito di un’affezione esterna, forza esterna, che permette all’uomo di essere collocato perfettamente al centro del suo cosmo. La voce non arriva dall’uomo, ma dalla divinità.
L’aedo, un dispensatore di voce
Ha un compito, sa e vede più degli altri. Il bardo o l’aedo ha delle caratteristiche fisiche che lo contraddistinguono, la cecità. È proprio questo che secondo gli studiosi gli darebbe maggiore forza, perché non potendo guardare all’esterno, può guardare verso l’interno. È l’uomo dell’introiezione, vede cose che le persone comuni non vedono. Il passato esiste nel momento in cui una persona lo ricorda nella mente. Il bardo conosce il passato, lo guarda dentro di sé. Con le parole gli aedi avevano il compito di prefigurare il futuro e ricordare il passato, di trasmettere un bagaglio di informazioni ai cittadini.
Come facciamo ad imparare qualcosa noi? Dal testo scritto, dall’occhio alla mente e dalla mente alla voce. Questo ci permette di essere precisi. Ma in realtà gli antichi non ragionavano tanto in termini di memorizzazione perfetta, quanto più di assimilazione mnemonica, ecco perché la funzione dell’aedo è essenzialmente didattica. Però occorrono alcuni aspetti fondamentali, primo fra tutti la costanza dell’atto di introiezione.
Il risultato è che la scrittura porta alla riflessione di ciò che si pensa, potendo il pensiero guardare sé stesso su ciò che si è scritto. Ma la scrittura non è un gesto naturale dell’uomo, la voce lo è. La riflessione è alla base del pensiero analitico: mentre la parola attiva l’udito (che è un senso sintetico) e rende tutto più omogeneo, la scrittura divide, frammenta il pensiero.
Conclusioni
Mentre le parole nella società primaria entrano subito a far parte del sistema-mondo trasformando le cose dal disessere all’ essere, in quella secondaria, chirografica, nata appunto dopo l’invenzione della scrittura, la parola non è più l’unico senso su cui basare la conoscenza, ma è la scrittura lo strumento più potente per esprimere il sé.
Fonti
Sito web: https://www.arhantayoga.org/it/equilibrio-del-chakra-vishuddha-come-bilanciare-il-chakra-della-gola/
Libro: Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, di Walter J. Ong