— di Annachiara De Rubeis — Prendersi cura delle fragilità e dei difetti
Credo che le persone dovrebbero smettere di colpire sulle fragilità della gente. Non mi riferisco alle disabilità, anzi figuriamoci quelle! Intendo quelli che, se per alcuni sono difetti, per altri sono delle caratteristiche ingiudicabili, perché semplicemente proprie di loro stessi. Quello che per noi è ‘mancanza’, è qualcosa che ti può dare l’altro. Tutte le volte che mi sono colpevolizzata per un lato di me che era stato visto male, era stato giudicato o criticato in virtù di qualcosa che dovevo aggiustare, ho ricavato solo un appiattimento della mia personalità, di ciò che caratterizzava me e solo me, i miei “difetti”.
La stessa cosa facevo io, influenzando la percezione che avevo degli altri. Non delle cattive azioni, quelle sono altre. I difetti dovrebbero essere incoraggiati, curati, coltivati come se fossero fiori. Per alcuni, per esempio, ero arrogante, poi ho finito con il credere a loro e non ne ho ricavato nulla. Ad un certo punto, un giorno la mia psicologa mi disse che ero semplicemente proattiva e tutto è risuonato così vero per me.
Vorrei che fosse premiato l’istinto, l’intuito, il percorso, gli errori, la fatica, gli sbagli, i difetti; che vengano incoraggiate le nostre spigolature ad emergere e a brillare. Credo che prendersi cura delle fragilità degli altri sia terapeutico. Dovremmo imparare a parlare con le nostre ansie, proprio per il fatto che probabilmente non riusciremo mai a sconfiggerle del tutto. E quanto tempo nel frattempo passa. Vorrei che non ci fosse forma, ma solo contenuto. Nessuna definizione, ma solo essere. Essere amati per i nostri traumi. Essere sfidati nella nostra stessa stronzaggine. La Annachiara che conosco esiste solo in un modo, con i suoi difetti. Con i suoi probabili 28 che punteranno sempre ai 30, con la paura di sbagliare, con il tornare indietro dopo aver fatto qualcosa, qualunque cosa, con il giudicare tutto quello che lei stessa fa, nulla di strategico, solo per il gusto di capire. E solo per aver dato ragione ai pensieri altrui.
Meglio un appiattimento?
Spesso dico a Giorgia, la mia coinquilina, scherzando: “Giorgia non mi dar ragione! È grave se mi dai ragione, io sono esagerata… Tu mi devi riequilibrare!”. Come se essere sé stessi fosse esagerato. Meglio un appiattimento, no?
E invece no, chi se ne frega. Passiamo tutta la vita a definirci, ad essere una (o più) cose. Eppure, potremmo gestire solo il nostro tempo. Siate imperfetti, testardi, esagerati, se così lo vogliamo definire. Credo che siano stati pochissimi (poeti e autori ovviamente) quelli che sono riusciti a definire il concetto di equilibrio a parole. Non sarà dimezzando me, amputando i miei “difetti” che ne uscirà qualcosa di bello.
Sarà che ho 22 anni, e quindi qualcuno può pensare anche che sia normale che io la pensi così. Eppure, secondo me, proprio questo studiare e non definire potrebbe essere uno dei modi migliori per vivere, o sopravvivere, è come disse il mio parrucchiere quando gli dissi che c’era il pericolo che da storica ragazza rossa mi sarei fatta mora per una delusione amorosa. Lui mi rispose: “Non credo ci sia questo rischio”.
“Sii meno”, “rovini tutto”, “sei sempre tu”, “sei particolare”, “intelligente”, “stronza”, “perfetta”, “pazza”, “mantieni un basso profilo”, “sii più timida”, “riservata”, “sii più astuta”.
La verità è che, mentre gli altri me lo dicevano, io non mi sono mai sentita queste cose. Non mi entravano, non mi colpivano, non dicevano assolutamente nulla di me.
Abisso di me
Mi capita spesso di immaginare che un giorno incontrerò qualcuno che mi amerà, cioè, mi farà rientrare in me, in tutti i miei difetti, non li correggerà, non li smorzerà, li vedrà e se ne prenderà cura rispettando la cura che già io dovrò combattutamente e non senza fatica dare loro. Qualcuno, con cui, rientrare in me, sempre più dentro, in fondo, in quell’abisso che tanto mi fa paura. Abisso di me. L’amore potrebbe essere anche questo? Un facciamolo insieme. Non aggiustiamo un bel nulla. La cosa anche più spiazzante è che sembra che io sappia già cosa voglio. E mia madre dice: “Stacca”. E la mia amica dice: “Mettiti in gioco”. Un’altra dice: “Inquadrati. Renditi conto dove sei, qui ed ora”. Credo che l’una opzione non escluda l’altra. Non volere qualcuno o qualcosa, non estrapolare, non accontentarti, vai come una farfalla (o una trottola, dipenderà dalla giornata). So cosa voglio. So da dove devo riprendere, allora non aver paura, mettiti in gioco, perché a te quella cosa piace.