L’Internet Archive nell’occhio del ciclone

Era marzo 2020 quando l’Authors Guild, la più antica e grande organizzazione professionale statunitense per scrittori, ha mosso le prime accuse nei confronti dell’Internet Archive, sostenendo non solo che abbia dato in prestito i propri libri “indiscriminatamente” e “senza alcun consenso da parte di editori e autori”, ma anche che si definisca impropriamente una “biblioteca”.

Cos’è l’Internet Archive

Partiamo dal principio. L’Internet Archive è un’organizzazione non profit che offre la possibilità di accedere a vari tipi di risorse quali, ad esempio, siti web, audio, immagini e, soprattutto, libri. Giusto per capire la potenza di questo “registro del web”, si pensi che archivia migliaia pagine web anno per anno, in modo tale da poter vedere come appariva un qualsiasi sito internet dal 1997 ad oggi.

Bene. Questa biblioteca digitale ha sempre funzionato come una normale biblioteca, e quindi permetteva di prendere in prestito un determinato contenuto a una sola persona per volta. Succede che all’inizio della pandemia, proprio per sopperire al lockdown, l’Internet Library decide di rimuovere il limite di una “copia” per persona e inizia a rendere accessibili i propri libri a chiunque ne facesse richiesta.

Le accuse di violazione del diritto d’autore

Un’iniziativa apparentemente lodevole, che però non è stata apprezzata da numerosi autori e case editrici, come Hachette, HarperCollins, Penguin Random House, tutte parte della Association of American Publisher, che hanno accusato la non profit di pirateria, intentando un’azione legale per violazione del diritto d’autore.

E quindi, per trovare un punto di incontro con gli editori, l’Internet Archive ha deciso di interrompere in anticipo questo “esperimento”, inizialmente in programma fino a giugno 2020. Ma a quanto pare non è stato sufficiente, perché la causa non solo non è stata ritirata, ma procede spedita e rischia di vedere la biblioteca digitale condannata a un risarcimento di circa 19 milioni di dollari. Al momento, il giudizio riguarda solo le 127 opere custodite nell’archivio di proprietà delle case editrici querelanti.

Le ragioni più profonde dietro alla causa

È chiaro che dietro la causa nei confronti dell’Internet Archive si celano ragioni ben più profonde della sola violazione del diritto d’autore, che si è prodotto per un tempo decisamente limitato. Sembrerebbe essere, piuttosto, focalizzata in generale alla questione del prestito dei libri, indipendentemente dalle modalità adottate. Numerosi esperti, infatti, ritengono che gli editori vogliano, in realtà, punire direttamente la logica alla base della “biblioteca digitale”, ossia il Controlled Digital Lending (il “prestito digitale controllato”), che prevede che gli stessi bibliotecari scannerizzino i libri in dotazione per renderne disponibile una copia per volta a chiunque ne faccia richiesta, rimuovendo la copia fisica dai propri scaffali.

Il “fair use”

Ma non è detta l’ultima parola. La Corte potrebbe ben comprendere il ruolo del “fair use” – la pratica che consente determinati utilizzi di opere coperte dal diritto d’autore – e ritenere che possa applicarsi anche a questa situazione. In sostanza, quello che fa l’Internet Archive non si discosta di tanto da ciò che fanno, da anni ed anni, le biblioteche tradizionali. A ciò si aggiunga che, a sostegno della non profit, di più di 300 autori hanno firmato un appello in cui accusano gli editori di voler “intimidire le biblioteche”.

Ma siamo così sicuri che la diffusione libera e gratuita della cultura danneggi gli editori? Certamente non deve essere trascurato il ritorno economico che ha, e non può non avere, chi c’è dietro la stesura di un libro. D’altro canto, però, l’accesso a copie gratuite online di un’opera potrebbe contribuire alla sua diffusione, al passaparola, e ad accrescere la notorietà del suo autore. Un potere che non andrebbe sottovalutato né, tantomeno, boicottato.

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