Lo scisma, o della scomunica di Monsignor Carlo Maria Viganò

— di Alfredo Tocchi

Con un sintetico comunicato, il Dicastero per la Dottrina della Fede ha annunciato la scomunica di Monsignor Carlo Maria Viganò, per “il delitto di scisma”. La sentenza è stata emessa dopo “le sue affermazioni pubbliche dalle quali risulta il rifiuto di riconoscere e sottomettersi al Sommo Pontefice, della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti e della legittimità e dell’autorità magisteriale del Concilio Ecumenico Vaticano II”.
Pacata, come di consueto, la reazione di Monsignor Viganò: “Sul Soglio che fu del Beato Pio IX oggi siede – abominazione della desolazione – il Gesuita Argentino, il piazzista di BigPharma, l’apostolo del cambiamento climatico, l’adoratore della Pachamama, il fautore della persecuzione dei Cattolici cinesi, il difensore di pornografi e pervertiti, il promotore del business dell’invasione islamica, il servo del World Economic Forum, il manovratore della farsa sinodale, il nemico della Messa di San Pio V, il liquidatore fallimentare della Chiesa di Cristo.”
Sostengo da sempre Monsignor Viganò, da agnostico o forse da cattolico zombie (definizione utilizzata da Emmanuel Todd per indicare una persona non più praticante ma ancora legata ai valori fondamentali della propria religione, nel mio caso la sacralità della vita e la centralità dell’amore e della compassione).
Detesto il gesuita argentino, che ho più volte definito eretico (nega l’esistenza dell’inferno) e sincretista (credete in quello che volete, ma credete, persino in Pachamama).
Ritengo che lo scontro non sia tra i due uomini, ma tra due visioni della chiesa del tutto antitetiche. (Per inciso, ritengo la stessa cosa sul conflitto in Ucraina: lo scontro è tra due visioni del mondo del tutto antitetiche, quella mondialista a guida americana – che passa per la cancellazione delle diversità culturali e l’abolizione degli Stati nazionali contro quella multipolare dei BRICS).
Da un lato, vi è la visione mondialista del gesuita argentino: il nichilismo avanza, occorre rendere la religione più in linea con gli ideali dei giovani, dall’altro la visione di Joseph Ratzinger: sopravvivrà unicamente un piccolo nucleo di cattolici, la cd. “piccola chiesa”.
Per comprendere la profondità della frattura tra queste due idee di chiesa, occorre riflettere sulla “profezia” di Benedetto XVI.
Nel giorno di Natale del 1969 ai microfoni della Hessischer Rundfunk, l’allora Professore Joseph Ratzinger pronunziò queste parole memorabili:
“Siamo a un enorme punto di svolta nell’evoluzione del genere umano. Un momento rispetto al quale il passaggio dal Medioevo ai tempi moderni sembra quasi insignificante”. Il Professor Ratzinger paragonava l’era attuale con quella di Papa Pio VI, rapito dalle truppe della Repubblica francese e morto in prigionia nel 1799. La Chiesa si era trovata allora alle prese con una forza che intendeva estinguerla per sempre, aveva visto i propri beni confiscati e gli ordini religiosi dissolti. Una condizione non molto diversa, spiegava, potrebbe attendere la Chiesa odierna, minata dalla tentazione di ridurre i preti ad “assistenti sociali” e la propria opera a mera presenza politica.
Ratzinger affermava che “…dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali” e ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la Fede al centro dell’esperienza. “Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la Sinistra e ora con la Destra. Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti”.
Quello che il Professor Ratzinger delineava, era “un processo lungo, ma quando tutto il travaglio sarà passato, emergerà un grande potere da una Chiesa più spirituale e semplificata”. A quel punto gli uomini scopriranno di abitare un mondo di “indescrivibile solitudine” e avendo perso di vista Dio, “avvertiranno l’orrore della loro povertà”. Allora, e solo allora, concludeva, vedranno “quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per sé stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto”.
“Il futuro della Chiesa può risiedere e risiederà in coloro le cui radici sono profonde e che vivono nella pienezza pura della loro fede. Non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente o in quelli che si limitano a criticare gli altri e assumono di essere metri di giudizio infallibili, né in coloro che prendono la strada più semplice, che eludono la passione della fede, dichiarandola falsa e obsoleta, tirannica e legalistica, tutto ciò che esige qualcosa dagli uomini, li ferisce e li obbliga a sacrificarsi. Per dirla in modo più positivo: il futuro della Chiesa, ancora una volta come sempre, verrà rimodellato dai santi, ovvero dagli uomini le cui menti sono più profonde degli slogan del giorno, che vedono più di quello che vedono gli altri, perché la loro vita abbraccia una realtà più ampia. La generosità, che rende gli uomini liberi, si raggiunge solo attraverso la pazienza di piccoli atti quotidiani di negazione di sé. Con questa passione quotidiana, che rivela all’uomo in quanti modi è schiavizzata dal suo ego, da questa passione quotidiana e solo da questa, gli occhi umani vengono aperti lentamente. L’uomo vede solo nella misura di quello che ha vissuto e sofferto. Se oggi non siamo più molto capaci di diventare consapevoli di Dio, è perché troviamo molto semplice evadere, sfuggire alle profondità del nostro essere attraverso il senso narcotico di questo o quel piacere. In questo modo, le nostre profondità interiori ci rimangono precluse. Se è vero che un uomo può vedere solo col cuore, allora quanto siamo ciechi!”.
Del tutto antitetica è la visione di Bergoglio. Più volte ha dichiarato che uno dei suoi libri preferiti è Il padrone del mondo, di Robert Hugh Benson. Questa la sinossi di Feltrinelli: “All’inizio del ventunesimo secolo l’Europa è dominata da governi di stampo massonico e comunista. Il secolarismo ha trionfato definitivamente e le religioni sono decadute: la sparuta minoranza cattolica superstite ha come uniche roccaforti l’Irlanda e Roma, che ha ottenuto l’indipendenza dall’Italia ed è retta dal papa. Il dissenso è inesistente, l’eutanasia è pratica diffusa, l’edilizia si sviluppa sottoterra e la lingua internazionale è l’esperanto. Londra è una città silenziosa in cui ogni rumore è attutito dallo strato di gomma che sembra rivestire ogni superficie calpestabile, e a Trafalgar Square troneggia la statua di un massone. Su questo sfondo si intrecciano le vite dei due antitetici protagonisti: da una parte Percy Franklin, ambizioso prete cattolico che aspira a una rifondazione della Chiesa; dall’altra Oliver Brand, deputato comunista e convinto anticattolico, figlio della società moderna. Entrambi assistono con trepidazione alla grande partita sullo scacchiere mondiale che si gioca tra Occidente e Oriente. Quando l’eterno attrito fra i due blocchi sembra sul punto di degenerare in una guerra di proporzioni inedite, entra in scena Julian Felsenburgh, misterioso poliglotta dal carisma eccezionale che si impone come mediatore, stabilendo un nuovo ordine mondiale e diventando il dio delle masse: è l’ascesa dell’Anticristo. Ma la pace universale conquistata non salva il declino dei cattolici: nel momento in cui tutte le forze convergono nell’ultimo scontro con la Chiesa, il mondo sembra prossimo all’Apocalisse”.
Il gesuita argentino – come tutti i gesuiti – ha in sé il seme dell’evangelizzazione. Pur di garantire alla chiesa cattolica qualche altro anno di prosperità (=potere), è disposto a flirtare con le ideologie mondialiste (green economy, gender culture, wokeism, cancel culture). Non si rende conto (o piuttosto intende sfruttare) che per i giovani queste nuove ideologie sono sostituti della religione, veri e propri culti con i loro riti.
E qui giungiamo al cuore dello scontro. Nella puntata del 10 febbraio 2023, il conduttore di Fox TV Tucker Carlson, ha esposto una tesi ardita e suggestiva: nel mondo Occidentale l’attivismo climatico è diventato una religione. Questa la traduzione testuale del suo discorso:
“Forse ricorderete uno scrittore chiamato Michael Crichton. Era una forza dell’intrattenimento americano. Era uno scrittore di romanzi. Era un produttore cinematografico. Ha prodotto una marea di film e libri di successo: “Il ceppo di Andromeda”, “Jurassic Park” e così via, ma era anche – e questo è meno ricordato – un filosofo politico molto saggio. Vent’anni fa, prima di morire, Michael Crichton tenne una conferenza a San Francisco sulla crisi climatica e in quel discorso descrisse l’attivismo climatico come la religione – non un movimento politico, una religione – degli atei urbani, delle persone che rifiutavano ogni aspetto dell’ebraismo e del cristianesimo.
Gli attivisti per il clima, senza dirlo ad alta voce, avevano creato una religione, con tutte le caratteristiche che si possono riconoscere in qualsiasi religione convenzionale. Avevano il loro Eden, che sarebbe stato il mondo prima dell’arrivo dei coloni. Avrebbero avuto il loro peccato originale, perché ogni religione ne ha uno. Nel loro caso, si tratterebbe della Rivoluzione industriale e, a causa di quel peccato originale, credevano che stesse per arrivare una catastrofe, una fine dei tempi e, secondo loro, la fine dei tempi era una catastrofe climatica.
L’unico modo per salvarsi da questa catastrofe, da questa fine dei tempi, era rinunciare ai propri peccati energetici e abbracciare l’attivismo climatico. Quindi, Crichton ha identificato questo come un segno che le credenze religiose sono intrinseche. Tutti ne hanno, anche gli atei. Magari non si adora Dio, ma si adora qualcosa e questo è vero. Non sono molte le teorie politiche che invecchiano bene anche dopo 20 anni, ma quella di Michael Crichton sì.
Mentre la frequentazione delle chiese e la fede religiosa autoidentificata sono crollate in questo Paese, il culto del clima è diventato ancora più forte. Ora anche il Presidente degli Stati Uniti avverte che il mondo sta finendo. Se non approviamo il New Deal verde e non legalizziamo l’aborto fino al momento della nascita, Joe Biden dice che il cambiamento climatico distruggerà il mondo. È meglio che approviate il programma del Partito Democratico. Se non lo farete, vi unirete alla “minaccia più esistenziale per l’umanità che abbiate mai affrontato, comprese le armi nucleari. È un codice rosso!”.
Le parole di Tucker Carlson sono subito state riprese da Monsignor Carlo Maria Viganò, in un intervento che non esito a definire memorabile. Monsignor Viganò è dall’inizio della pandemia uno dei più acuti osservatori dei mutamenti sociali. Ha il merito di essere stato tra i primi a puntare il dito contro la mistificazione e a parlare di transumanesimo come fine ultimo del processo di cambiamento del mondo chiamato Great Reset.
Egli afferma che la nuova religione abbraccia tutti gli aspetti culturali dominanti nella contemporaneità: Green culture, Cancel culture, Woke culture, Gender culture sono interconnesse per giungere all’essere umano privo di identità culturale, di radici nazionali, di orientamenti sessuali definiti, di pensiero trascendente, pronto per vivere lontano dalla realtà, nel metaverso dove tutto è consentito e possibile grazie all’assenza di fisicità.
Proseguendo nel suo ragionamento, Monsignor Viganò indica in Klaus Schwab del Forum di Davos il Papa di questa nuova religione. Naturalmente ci sono molti noti e meno noti discepoli, tutti posseduti dalla volontà evangelizzatrice di abbattere le religioni tradizionali e sostituirle con un nuovo culto pagano della terra, vista come originario paradiso perduto, con un rovesciamento del concetto cristiano.
“Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra e rendetevela soggetta, e dominate (…) sopra ogni animale…” suona per i seguaci della “Green religion” come la peggiore delle bestemmie. Non è un caso se – già nel 2014, all’inizio delle mie riflessioni sul transumanesimo – scrissi che i musulmani e i cristiani (soprattutto ortodossi) sarebbero stati l’ultimo ostacolo all’affermazione planetaria del transumanesimo. L’umanità contemporanea si fa schifo, si percepisce come una specie animale al vertice della catena alimentare, nulla di diverso, nulla di più.
I neomalthusiani teorizzano che la terra sia un veicolo spaziale “progettato” per non più di 4 miliardi di persone e portano avanti il loro filantropico progetto di sterminare i 4 miliardi di troppo, “l’umanità inutile” descritta da Yuval Noah Harari nel suo Homo Deus.
Io ho scelto – già da molto tempo (2014) da che parte stare. Anche se non ho timore di scrivere che non condivido molte affermazioni di Monsignor Carlo Maria Viganò (prima fra tutte quella che Donald Trump sia in grado di invertire la rotta suicida dell’Occidente).
Ora sta a voi se essere del tutto indifferenti davanti allo scisma o schierarvi.

ALTRI ARTICOLI

Learn how we helped 100 top brands gain success