Nel Gobi con il coro. Il reportage fotografico del 1989 di Guido Alberto Rossi

Nel Gobi, 33 anni fa, tra odori selvaggi e canti primitivi

— di Guido Alberto Rossi —

Tratto da Papale-papale.it oggi online con una storia cinese

Quando la Cina Popolare aprì timidamente al turismo

Un giorno del 1989 mi chiama Alberto Orefice, allora direttore di Gente Viaggi e mi propone una serie di viaggi in Cina, sì la Cina Popolare, quella di Mao, che dopo decenni incominciava ad aprire al turismo e quindi il governo cinese incominciava ad organizzare dei viaggi, un po’ blindati, ma sempre viaggi per fotografi e giornalisti.

Ovviamente dal momento dell’arrivo a quello della partenza con inchini, sorrisi e salamelecchi eravamo sempre accompagnati e credo guardati a vista anche sotto la doccia.

Accettai al volo, erano previsti quattro viaggi nei quattro angoli della Cina e in diversi periodi dell’anno, uno di questi è stato particolarmente interessante e stressante contemporaneamente: il viaggio nel deserto del Gobi.

Erano anni in cui gli editori erano di mano quasi larga, la Rusconi che editava Gente Viaggi, pagava tutte le spese, salvo i pasti, perché secondo il Cav. Edilio Rusconi se mangiavo a Milano a spese mie, potevo anche farlo in giro per il mondo. Ragionamento che non faceva una piega, però pagava le spese anche all’assistente, ovviamente salvo i pasti che altrettanto ovviamente erano a carico mio.

Si parte per Beijing

Quindi un bel giorno con il mio amico ed assistente Adriano Schena partiamo per Beijing, una notte di permanenza e il giorno dopo volo interno per Urumgi in un jet che sembrava l’angolo di un tipico mercato di paese, carpe fresche avvolte in un giornale locale che il mio vicino di posto teneva gelosamente sulle ginocchia.
Arriviamo di sera, ci accoglie il funzionario che poi sarà anche la nostra guida e l’autista tutto orgoglioso della sua Toyota Land Cruiser.

Il mattino

Ci accompagnano in albergo dicendo che verranno a prenderci il mattino seguente alle 11 per partire, gli rispondo che non se ne parla, dobbiamo partire al mattino presto, perché è meglio per la luce, inizia una mini-discussione, ma la spunto ignaro della vendetta cinese (non sapevo che in Cina non ci sono fusi orari e quindi le 11 erano quasi l’alba).

Finita la cena il nostro infido facente guida fa scattare la trappola: con un lungo giro di parole in un inglese che andava dal perfetto a quello che non capiva, quando non voleva, mi chiede se l’autista può farsi accompagnare dalla moglie, visto che si è sposato il giorno prima e dovrebbe passare lontano da lei i prossimi cinque giorni.

Ignaro di quello che sarebbe successo acconsento e così il mattino dopo che, ovviamente, è buio pesto e non possiamo neanche far colazione, arrivano i tre e, chiarito il disguido del fuso orario, aspettiamo tre ore per la colazione ed il levarsi del sole e con tutti a bordo via per il deserto. Loro tre davanti mentre io ed Adriano sui sedili posteriori, che sono anche più sicuri in caso d’incidente, cosa molto frequente sulle strade cinesi.

La mattinata passa via con qualche foto della strada e finisce con il pranzo in un ristorante on the road, tra gli avventori c’era anche un maiale che si aggirava per i tavoli mendicando qualche avanzo, mentre i nostri accompagnatori ordinano di gusto brodaglie unte e puzzolenti io e Adriano, acquistiamo delle scatole di pesche sciroppate (che poi saranno la nostra dieta base per i prossimi giorni) ed andiamo a mangiarcele al sole.

Coretti cinesi

Come ripartiamo incomincia l’incubo che durerà per circa tremila chilometri: autista, consorte e guida iniziano a cantare deliziose canzoni e coretti cinesi che per noi occidentali dopo tre minuti d’ascolto fanno venire idee omicida o meglio anche di genocidio.
Passiamo la prima notte in un nuovo albergo appena finito, ma finito alla meglio tanto che tra l’infisso della finestra e il muro ci sono una decina di centimetri di niente da cui entra tutto il freddo della notte. Fortunatamente ci siamo portati sacchi a pelo e giacche a vento di piumino e guanti da sci, così dormiamo quasi caldi.

Al mattino il buongiorno inizia con la mancanza d’acqua, che poi non è così importante dal momento che non penso proprio di togliermi giacca e guanti.
Preferiamo far colazione in camera con il Nescafé fatto nello scaldino con spirale portati da Milano.
Si parte per il secondo giorno, il tutto è affascinante e ricco di soggetti, dalle dune agli accampamenti dei mongoli nomadi, scattiamo lo scattabile e cerchiamo anche di perder tempo, sapendo che dal momento che risaliamo in auto, inizia il coro che ci accompagnerà fino a sera.

Nei giorni successivi arriviamo a Jiayuguan e poi fino a Turpan, ormai la borsa dei rullini scattati trabocca e siamo felici per il lavoro ma con le orecchie a pezzi. Nel frattempo Adriano ha anche imparato un motivetto che viene riproposto più volte nel corso della giornata e così ogni tanto sopra pensiero inizia ad accompagnare i nostri tre artisti.

Arriviamo al traguardo frantumati, i nostri sposini ci ringraziano con inchini, sorrisi e frasi che tradotte sono molto carine, poi chissà se sono state tradotte correttamente dalla nostra guida.
Riprendiamo un altro aero–mercato e scopriamo che il miscuglio di puzze animali e vegetali, sono comunque meglio del bel canto cinese.

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