Ombre del Rinascimento. Artisti e i loro crimini nascosti

-di Luisa Melzi d’Eril-

Il Rinascimento è un periodo che ha partorito opere d’arte senza tempo. Tuttavia, alcuni tra i più grandi artisti, che oggi celebriamo come i padri della nostra cultura, non hanno avuto un rapporto facile con la giustizia.

Fra Filippo Lippi: la monaca rapita

Filippo Lippi, pittore fiorentino del secondo Quattrocento, all’età di otto anni venne mandato al convento di Santa Maria del Carmine, e nel 1421 diventò frate. Probabilmente la chiamata alla vita spirituale fu forzata dai familiari per ridurre le bocche da sfamare. Infatti, se ben presto Filippo divenne celebre come pittore, ancor più si distinse per la vita gaudente e passionale. Nel 1456, Lippi venne nominato cappellano del convento di Santa Margherita a Prato, dove rimase folgorato dalla bellissima Suor Marta, al secolo Lucrezia Buti. Per conoscerla meglio, Filippo ottenne dalla Badessa il permesso di far posare Lucrezia per il nuovo dipinto.

Poiché la paglia vicino al fuoco brucia, tra i due divampò un amore proibito. Gli incontri furtivi non bastarono più, Filippo rapì Lucrezia (che doveva essere d’accordo) portandola a vivere con sé. La relazione era sotto gli occhi di tutti, le lingue di Firenze non parlavano d’altro. Ci volle l’intervento di Cosimo de’ Medici per sistemare la situazione. Grazie alla sua intercessione, Papa Pio II nel 1461 sciolse i voti di entrambi e consentì loro di sposarsi. In realtà, Filippo non sposò mai Lucrezia, ma dalla loro unione nacquero due figli, uno dei quali sarebbe diventato il futuro pittore Filippino Lippi.

Benvenuto Cellini. La furia e l’arte

Benvenuto Cellini, uno dei maestri dell’oreficeria e della scultura fiorentina della metà del XVI secolo, fu noto per il suo carattere irascibile e la propensione ad estrarre il coltello. La “carriera”, non quella artistica beninteso, iniziò precocemente, quando il sedicenne Benvenuto insieme al fratello Cecchino, ferì gravemente un garzone. Passano gli anni, Benvenuto è sempre più apprezzato come orafo e scultore, ma Firenze è una fucina di talenti e la concorrenza è spietata: i fratelli Guasconti, orefici rivali, sparlano, calunniano; insomma, mettono i bastoni tra le ruote alla persona sbagliata. Una sera, Cellini entra nella tana del lupo mentre il clan Guasconti è riunito a tavola. Altra baraonda fatta di bestemmie e pugni. Cellini sfugge alla furia nemica grazie ad un monaco di Santa Maria Novella che gli offre ospitalità.

Nel 1527 è a Roma, momento sbagliato, o forse è proprio il momento giusto per l’indomabile artista? Arrivano i Lanzichenecchi e lui si distingue per l’ardore con cui difende la città eterna. Se non può salvare Roma, può spedire all’altro mondo un buon numero di tedeschi. Qualche tempo dopo gli giunge la notizia della morte del fratello, complice delle prime marachelle. Cecchino è morto così com’è vissuto, azzuffandosi con un tale Maffo. Cellini giura vendetta. Aspetta. L’occasione si presenta. Sangue chiama sangue: con un colpo di pugnale spezza il collo di Maffo. Ormai vecchio, dopo tante avventure, Benvenuto non ha più le energie di una tigre affamata, si abbandona ai ricordi malinconici delle imprese passate e su questo scrive un’autobiografia, un po’ romanzata a dirla tutta, “Vita di Benvenuto Cellini orefice e scultore fiorentino, da lui medesimo scritta”.

L’omicidio di Caravaggio

Il 28 maggio 1606, a Campo Marzio, Michelangelo Merisi, già famoso pittore, viene coinvolto in una lite, che dopo “breve menar di mano” si trasforma in omicidio. Secondo le testimonianze, discordanti tra loro, Merisi uccide Ranuccio Tomassoni da Terni con una stoccata alla coscia. Il “casus belli” sembra essere stato un alterco durante una partita alla pallacorda, ma è molto probabile che già tra i due non corresse buon sangue. Paolo V condanna Caravaggio alla decapitazione. Chiunque lo riconosca può eseguire l’ordinanza. Non resta che fuggire verso Napoli per evitare la morte. Da allora l’artista non ha più pace, si sposta di città in città, solo e braccato. La decapitazione diventa un’ossessione: teste mozzate spuntano in ogni suo dipinto.

Nel 1610, dopo anni tormentosi, si palesa la possibilità di un’amnistia che gli permetterebbe di rientrare nella Città eterna. Da Napoli, si mette in viaggio verso il territorio papale, sotto la protezione degli Orsini. La morte, però, ha in serbo altri piani; lo coglie a Porto Ercole, dove si ferma, affaticato e malato, per riposarsi prima del grande ritorno.

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