Intervista a Matilde, Enrico e Ivan
a cura di Nicola Brambilla
I musicisti
Intervista
Io sono un curioso appassionato di musica, ma anche molto ingenuo e tutt’altro che “del settore”. Dopo qualche giorno dal concerto del 15 giugno scorso ancora ripensavo a cosa avevo assistito, e mi chiedevo: ma loro ( i “musicanti”), come se la saranno vissuta? Non è stato un classico “concertino”, come a me piace chiamarlo: io mi sono emozionato, e loro? è stata una performance unica, mai più ripetibile, vero? Se la rifacessero domani sarebbe molto diversa o invece del tutto simile?
Matilde, Enrico e Ivan rispondono ad alcune domande che giravano per la mia testa dopo aver assistito alla loro performance.
1- è la prima volta che partecipi ad un evento di questo tipo?
Matilde Ferrari AKA Plastica
Nello specifico a O.M. (Open Machine n.d.r.) sì, ma in generale questa è una situazione “Jam” che può presentarsi molte volte nel corso della vita di un musicista, anche se in modo diverso e se vogliamo molto più relativo alle amicizie o comunque alla sfera privata, almeno per quanto mi riguarda.
Ne ho fatti molti altri, anche se tendo a dimenticarmelo perché l’improvvisazione è come una festa di compleanno tra amici, di quelle dove ti diverti e poi però purtroppo il giorno dopo torni a lavoro. Per cui come tanti momenti liberi e lieti, fuoriescono dai ricordi.
Non è molto diverso anche da una session di improvvisazione in studio, forse perché in fondo ormai sono diventato un nudista e ho un livello di pudore (musicale si intende), molto sottile. Per cui sia in studio che con il pubblico non noto la differenza.
Ivan Bert
No, anzi, tutto il mio percorso di formazione sia formale che “sul campo” è stato ed è incentrato sulla composizione estemporanea-istantanea sia individuale che collettiva e il mio “focus” è proprio la realizzazione di progetti (sia live che in studio) nei quali quella che viene un po’ frettolosamente definita “improvvisazione collettiva” è il nucleo estetico (non solo cosmetico) del concetto compositivo.
Il mio ultimo lavoro pubblicato in vinile a Gennaio 2023 è appunto un disco live “FIRE feat. Adrian Sherwood” nel quale abbiamo portato all’estremo lo strumento compositivo collettivo e l’interplay arrivando a generare anche la regia dei video in Live Cinema, registrando, mixando e “dubbando” il disco dal vivo davanti al pubblico mentre lo “scolpivamo” sul palco per la prima volta e con il Maestro Adrian Sherwood che ci ha mixati come se fosse un prodotto già edito, ma che in realtà stavamo registrando lì sul palco con lui al mixer.
Una sorta di clash tra Davis, Glass, Hermeto Pascoal, Zappa, Zorn e il Dub e Sherwood che era lì con noi fisicamente.
Non è diverso da improvvisare in sala di registrazione, io ad esempio ho la tendenza a far salire sul palco gli artisti senza nozioni troppo vincolanti ma sufficientemente chiare per l’architettura e la drammaturgia complessiva. Più o meno come avevate visto e sentito ad Open Machine ma solo con un livello di complessità più elevata.
Io ho una formazione musicale meticcia tra la musica colta e il jazz e questa tecnica compositiva è largamente esplorata, consolidata ed evoluta, e su alcune di queste esperienze ci ho fatto la mia tesi di Laurea.
2- improvvisando davanti al pubblico hai provato più ansia da prestazione/panico o sensazione di gioco/libertà?
Mi sono sentita libera più che altro, ero sicura che sarebbe venuto fuori qualcosa di interessante perchè già al soundcheck è successo. Forse l’unica piccola paura era quella di coprire troppo gli altri musicisti esagerando con gli elementi ritmici oppure non cogliere la loro idea ritmica.
Enrico Gabrielli
Nessun tipo di ansia. Nel caso specifico di Torino l’unica forma di preoccupazione che ho provato è stata pensare che in sala c’erano i miei bambini. Ma sapevo che la grande avrebbe resistito poco, per cui quando li ho visti andare via dopo i primi 5 minuti, ho smesso di pensare e ho suonato in libertà.
Ivan Bert
L’ansia è un meccanismo neurologico preventivo che se tieni a quello che stai per fare si attiva sempre prima di un’esibizione o di una registrazione, un po’ come il gatto che si prepara prima di scattare per un salto. Quindi c’è sempre ma specialmente nei contesti improvvisativi credo che sia più per il “rispetto” verso il Suono, la Musica e la necessarieta’ di tutto quello che andrai a fare e per il desiderio di essere essenziale e trasformativo, se ci riesci.
3- avevi già suonato con gli altri artisti? Li hai visti con altri occhi suonandoci in questa modalità? Qualcuno ti ha stupito in particolare?
Matilde Ferrari AKA Plastica
Ho conosciuto Enrico ed Ivan sul posto, quel pomeriggio durante il soundcheck, quindi no! Mi hanno stupita entrambi in positivo perchè hanno saputo andare oltre al proprio fisico strumento, con una padronanza completa di metodi ed effetti. Io ero la musicista più giovane quindi ho osservato e imparato molto da chi fa questo mestiere da tanti anni, anche se in ambiti diversi dal mio.
Enrico Gabrielli
Conoscevo Vittorio (Cosma n.d.r.) da anni e già avevo fatto un altra Open Machine alla Triennale di Milano per cui non sono mai sorpreso di sentire le sue mani veloci partire con dei ritmi molto storti restando sempre sul filo dell’emotivo. Suona molto bene Vittorio, c’è poco da fare e sulle tastiere non ne ha per nessuno.
Plastica e Ivan non li conoscevo, ma non c’è niente di meglio che dirsi “piacere” direttamente sul palco. Con una bella stretta di mano ipotetica e musicale. Ci siamo divertiti ed è ciò che conta di più al mondo, per quanto mi riguarda.
Ivan Bert
Non avevo mai avuto il piacere di incontrarli sul palco e conoscersi così non è l’unico modo, ma probabilmente il più “nudo” ed è un po’ come conoscersi in uno Psicodramma. Ci si dice molte cose di sé senza bisogno di dirsele.
Sono contento di esserci incontrati direttamente in un contesto simile che è un po’ “casa mia” e di aver trovato artiste ed artisti con gran rispetto per il Suono collettivo e personale.
4- questa sorta di “brain-storming” musicale ti ha stimolato nuove idee / pezzi da comporre, o è stato troppo breve e andrebbe esteso nel tempo o ripetuto per poterlo fare?
Matilde Ferrari AKA Plastica
E’ un bellissimo concetto che credo mi possa tornare utile in futuro, forse troppo breve per far scaturire qualcosa di concreto al momento, ma comunque un’ottima sfida creativa per tutti.
Enrico Gabrielli
Credo sia stato breve per noi ma giusto per il pubblico, che se ne è andato alleggerito dall’estro dei quattro musicisti e non affaticato. Una sessione di improvvisazione “propedeutica” per un pubblico generico è cosa rara. Cercare di spiegare i meccanismi, dare un minimo di informazione sugli strumenti, vedere una sessione con gente in posizione non frontale sono tutte cose interessanti da vedere e da sentire.
Per cui io sono molto contento di aver visto la gente uscire da lì stimolata. Alla fine il musicista senza le persone non svolgerebbe il suo principale mandato, ovvero quello di “medium”. E non tendere una mano alla comprensione del testo musicale (e quindi di sè stessi) è una forma di coercizione. Al di là di quello che ho fatto o di quello che mi è rimasto musicalmente, l’importante è stato dare alla gente un’ora di materiale su cui ragionare e una chiave di accesso per provare capirlo.
Non c’è da chiedere di meglio.
Ivan Bert
Come tutti i flussi di coscienza e i sogni semi coscienti ci sono sempre dei frammenti che ti porti a casa.
Oltre la musica di note mi tengo sempre la possibilità di agganciarmi alla rete (il web letteralmente) e di buttare nel “frullatore” frammenti di Mondo reale o di usare miei Field Recording o registrazioni di suoni e strumenti concreti durante i live (anche non di impro).
Nella nostra sessione ho cannibalizzato un archivio di spot pubblicitari americani degli anni 60 e alcune mie registrazioni dei suoni degli scalpelli per il marmo della cave di Massa Carrara e di altri strumenti della carpenteria.
Mi ha riaperto un mondo sonoro che non frequentavo più da un po’ di tempo, e la new entry delle pubblicità americane filtrate come se fossero un discorso politico in un comizio mescolato ad una base improvvisata tipo East Coast anni ‘90 mi hanno acceso una lampadina.
Comunque si, da rifare e forse in una forma un po’ più lunga, non molto ma un po’ si perché dopo il live più persone del pubblico mi hanno detto esplicitamente che se avessimo suonato tutta la notte si sarebbe sdraiati per terra ad ascoltare e a viaggiare con noi.
Direi che è un buon feedback, no?
Direi che hanno tutti risposto in modo esaustivo alle mie curiosità, e mi hanno adesso aperto mille altri spunti di riflessione, accidenti.. sono dei veri artisti colti, raffinati.. e pensanti, ognuno unico e diverso, ma con una grande passione e una lingua comune: l’arte della musica!
Alla prossima e bravi tutti!