Due mesi di tempo per rispondere e riscontare le osservazioni sollevate pochi giorni fa dalla Commissione europea che ha confermato l’avvio di una procedura d’infrazione contro l’Italia.
— di Pierpaolo Ponzone —
Il Governo ha ricevuto una lettera di messa in mora (INFR -2024-2053) nella quale viene contestato di non aver “recepito pienamente e correttamente la Direttiva sulla plastica monouso (Direttiva UE 2019/904)”, ma anche di aver “violato gli obblighi previsti dalla Direttiva sulla trasparenza del mercato unico (Direttiva (UE) 2015/1535)”. Il punto dolens sono le deroghe concesse dall’Italia all’uso delle stoviglie monouso in plastica biodegradabile.
L’Italia avrebbe violato queste regole procedurali, adottando la legislazione che recepisce la Direttiva sulla plastica monouso durante il periodo di sospensione, mentre il dialogo con la Commissione era ancora in corso.
I numeri sono comunque allarmanti, la Commissione ha ricordato al Governo in carica che la Direttiva sulla plastica monouso (Direttiva SUP – Single Use Plastics) è un elemento essenziale della strategia della Commissione sulla plastica e del piano d’azione sull’economia circolare.
Legambiente ha “fotografato” nella sua indagine Beach Litter (33 spiagge di 12 regioni della penisola), una media di 705 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia lineare. Quasi la metà di questi è costituita da oggetti come mozziconi, tappi e coperchi in plastica, materiali da costruzione e demolizione e stoviglie usa e getta in plastica.
Nello specifico preoccupano i dati sui prodotti in plastica monouso banditi dalla Direttiva SUP (entrata in vigore in Italia dal 14 gennaio 2022) e che, insieme alle reti e attrezzi da pesca e acquacoltura, rappresentano ancora il 56,3% del totale dei rifiuti monitorati nel 2024.
I volontari di Legambiente, in circa 179.000 metri, hanno recuperato e catalogato 23.259 rifiuti. Al primo posto dei materiali più diffusi sulle spiagge c’è la plastica con il 79,7% degli oggetti rinvenuti. Seguono vetro e ceramica con il 6,6%, il metallo presente per il 4,5% e carta/cartone con il 2,9%.
Di questi il 56,3% del totale dei rifiuti monitorati nel 2024 sulle spiagge italiane è costituito da stoviglie usa e getta in plastica, insieme a reti e attrezzi da pesca, mentre la plastica è il materiale più raccolto, con il 79,7% degli oggetti rinvenuti.
Con la Direttiva SUP la UE ha deciso di intervenire vietando e disincentivando la produzione e la relativa commercializzazione di alcuni oggetti monouso in plastica.
Partendo dalla legislazione comunitaria esistente, i legislatori hanno stabilito norme di limitazione per i tipi di prodotti e imballaggi che rientrano tra i dieci più spesso rinvenuti sulle spiagge europee.
La Direttiva SUP dice esplicitamente all’art. 3 che gli unici polimeri esclusi dal divieto sono quelli naturali non modificati chimicamente. Bioplastiche e plastiche vegetali, siano esse derivate da fonti rinnovabili (totalmente o parzialmente) o da quelle petrolchimiche, rientrano tra i polimeri modificati chimicamente e quindi fra i materiali vietati.
La Plastic-tax è un’imposta che riguarderà produttori e commercianti dei manufatti per il consumo con singolo impiego (MACSI). L’importo sarà di 45 centesimi di euro per chilogrammo di plastica contenuta in questi manufatti.
Il compito dei Governi che recepiranno la Direttiva sarà di creare le giuste leve economiche per sostenere la diffusione di materiali realmente sostenibili senza pesare troppo sulle tasche dei consumatori.
Nel 2021, il pianeta Terra ha prodotto 139 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica monouso, 6 milioni in più rispetto al 2019. All’incirca un chilogrammo in più di rifiuti di imballaggi in plastica per ogni persona sul pianeta. Quasi tutte le plastiche monouso continuano ad essere prodotte di origine fossile: il 98% nel 2021, contro il 99% nel 2019.
Le emissioni complessive della filiera della plastica monouso nel 2021 hanno generato circa 450 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente, e la maggior parte delle emissioni è stata prodotta dall’industria petrolchimica, e quindi nelle primissime fasi della filiera.
“L’attuale ciclo di vita della plastica è tutt’altro che circolare”. È l’incipit dello studio OCSE “Global Plastics Outlook – Economic Drivers, Environmental Impacts and Policy Options”.
“Ci sono più rifiuti di plastica monouso che mai: 139 milioni di tonnellate nel 2021”, leggiamo nel Plastic Waste Makers Index 2023. “Nonostante la crescente consapevolezza dei consumatori, l’attenzione delle aziende e la regolamentazione, nel 2021 sono stati generati altri 6 milioni di tonnellate (MMT) di rifiuti rispetto al 2019, ancora quasi interamente realizzati con materie prime vergini a base di combustibili fossili”. Perché, come noto, la plastica monouso, oltre che un problema di inquinamento e rifiuti, è concausa della gravissima crisi ambientale legata al cambiamento climatic.
Il riciclaggio meccanico, ricorda lo studio Minderoo, riduce le emissioni dalla culla alla tomba di almeno il 30-40% rispetto alla produzione di polimeri da combustibili fossili. “La riduzione delle emissioni derivante dal riciclaggio è significativa – si legge nello studio – ma possono essere solo una parte della soluzione verso un’economia della plastica a zero emissioni nette”.
Plastica monouso – imballaggi in plastica e articoli in plastica articoli di plastica usa e getta come sacchetti, cannucce e posate che vengono utilizzati una volta e poi gettati via – rappresentano la più grande categoria di applicazioni della plastica e rappresentano un terzo di tutta la plastica consumata a livello globale.
Il Global Plastic Outlook monitora i soggetti mondiali con la maggiore impronta ecologica sulla produzione di rifiuti di plastica. Nel 2019 sul podio gli Stati Uniti con una produzione pro-capite di 221 chilogrammi, seguiti dall’Europa (Paesi OCSE) con 114 chili/ab. Basso l’impatto in Paesi industrializzati come Giappone e Corea del Sud, dove ogni abitante produce circa 69 chilogrammi di plastica, mentre la media in Cina e India è stabile rispettivamente a 47 e 14 chilogrammi pro-capite. E se nel corso del 2020 la pandemia da Covid-19, e il seguente stop delle attività produttive, ha generato una riduzione del 2.2% delle plastiche rispetto ai livelli del 2019, il livello di inquinamento su scala globale è comunque aumentato a causa della diffusione delle mascherine chirurgiche e dei prodotti monouso in plastica.
“I rifiuti di plastica mal gestiti sono la fonte principale di dispersione di macroplastiche”, sostiene l’OCSE rivelando come, solamente nel 2019, sono state abbandonate nell’ambiente circa 22 milioni di tonnellate di materie plastiche. Una quantità rappresentata per l’88% dalle macroplastiche provenienti da scorrette pratiche di raccolta e conferimento. Il restante 12% è rappresentato da microplastiche (polimeri con un diametro inferiore a 5 mm) generate da diverse fonti.
109 milioni di tonnellate le quantità di plastiche presenti nei fiumi del globo e 30 milioni di tonnellate quelle che infestano gli oceani. Solamente nel 2019, segnala lo studio, circa 6,1 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica sono stati dispersi nei fiumi, nei laghi e negli oceani di tutto il mondo.
Nello stesso anno, l’impronta carbonica del ciclo di vita delle plastiche è stata pari a 1,8 miliardi di tonnellate di emissioni di gas a effetto serra, il 90% delle quali sono state generate dai processi di produzione e conversione dei combustibili fossili.
L’analisi dell’OCSE contiene anche qualche proposta per la riduzione dei consumi della plastica e per la riduzione degli impatti provocati sull’ambiente e le persone.
Si comincia con la proposta di sviluppare un mercato delle plastiche riciclate che sia capace aumentare la percentuale di materia prima reimmessa in produzione (attualmente ferma al 6%). A seguire la maggiore sostenibilità del ciclo di vita delle plastiche con progetti avanzati di Innovazione ed eco-design dei prodotti che favoriscano una riduzione dei consumi di polimeri.
Infine, lo sviluppo di politiche più rigorose con una percorso che includa azioni volte a ridurre la dispersione di macroplastiche con la realizzazione di infrastrutture più moderne per la gestione dei rifiuti, maggiori incentivi per il riciclaggio, nuovi Sistemi di Responsabilità Estesa del Produttore per gli imballaggi, una tassazione sulle discariche e gli inceneritori.
Il 24 ottobre si è svolto al Parlamento Europeo il voto per armonizzare l’attuazione della Direttiva PPWD- Packaging and Packaging Waste Directive e la sua trasformazione in Regolamento. Ogni anno in Europa si producono più di 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti. Il superamento del modello economico lineare per promuovere la transizione verso un’economia circolare rientra tra le priorità della politica industriale dell’Unione Europea. Il Circular Economy Action Plan, adottato in origine dalla Commissione nel 2015, conferma questo indirizzo. Coerentemente con il Green Deal del 2019 l’Unione Europea mira a sviluppare una strategia per lo sviluppo sostenibile incentrata sull’economia circolare come volano di crescita dell’innovazione e della competitività. Il traguardo è stato fissato entro il 2050 per far diventare la UE il primo continente climate-neutral.
La Direttiva 94/62/EC (PPWD- Packaging and Packaging Waste Directive) ha l’ambizione di generare un modello economico sostenibile e circolare. Nella sua prima stesura (2015) la Commissione si prefisse la prevenzione e la riduzione dei rifiuti da imballaggio con finalità di riciclo e riuso. A distanza di un paio di lustri si è reso necessario un aggiornamento normativo visto che la Direttiva non è riuscita ad affrontare il crescente impatto ambientale degli imballaggi: il packaging rimane poco riciclabile (e realizzato con poco materiale riciclato).
Sul tavolo ci sono anche grandi differenze nel modo in cui la Direttiva viene recepita dai singoli Stati membri e per armonizzare l’attuazione nel continente la Commissione ha proposto, nel novembre 2022 una revisione della Direttiva e la trasformazione in Regolamento (PPWD-Packaging and Packaging Waste Directive).
Il voto si è svolto al Parlamento Europeo il 24 ottobre, mentre una votazione più ampia tra i legislatori dell’UE c’è stata alla fine di novembre; dunque, prima che il regolamento venisse adottato o convertito in legge. Per la sua applicazione aspetteremo la fine del 2024, con entrata in vigore dopo 12 mesi.
Numerose sono novità importanti contenute nella proposta, tra cui: la riduzione dei rifiuti da imballaggio pro capite per Stato membro del 15% entro il 2040, l’offerta ai consumatori di una determinata percentuale dei loro prodotti in imballaggi riutilizzabili o ricaricabili, restrizioni per determinati formati di imballaggio come quelli monouso, regole condivise per la progettazione del riciclaggio: il packaging riutilizzabile può essere una soluzione sostenibile ma, solo per alcuni campi molto specifici di applicazione, ovvero in contesti chiusi e strutturati laddove è possibile centralizzare e monitorare la gestione dei resi e realizzare sistemi di lavaggio efficienti come edifici pubblici, aeroporti o le mense scolastiche. Per chiudere, tassi vincolanti di contenuto riciclato che gli imprenditori dovranno includere nei nuovi imballaggi di plastica.
Secondo EPPA (European Paper Packaging Alliance) il passaggio al packaging riutilizzabile potrebbe far crescere gli impatti socio-ambientali della ristorazione, creando dei rischi di contaminazione per gli utilizzatori finali. Per scongiurare questa eventualità è necessario un maggiore impiego di materiali ed estrazione di risorse per la realizzazione dei prodotti adatti al riuso, ma anche una notevole crescita del consumo di acqua per il lavaggio, costi elevati di adeguamento per i piccoli business, creando delle barriere d’ingresso che limitano l’offerta ristorativa europea e l’esperienza dei consumatori.
Con queste premesse è importante intraprendere azioni di prevenzione e riduzione di rifiuti non riciclabili, armonizzazione la gestione e le procedure negli Stati Membri e degli strumenti tendenti a stimolare la domanda di materiali per lo sviluppo delle filiere di riciclo, investire in soluzioni tecnologiche e in materiali alternativi e adattabili al singolo contesto.
Moltissimi i vantaggi nel passaggio a un’economia più circolare nel settore degli imballaggi: la responsabilizzazione dei consumatori, la riduzione degli impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana e del pianeta, l’emancipazione dell’Unione Europea dalle importazioni di materie prime e combustibili fossili, ma soprattutto una forte spinta verso l’innovazione e la crescita economica sostenibile.