Universo influencer: dove social network e diritto si incontrano

Nell’era dei social network gli influencer si sono ritagliati il proprio spazio, inventando di sana pianta una vera e propria professione. E come per tutte le novità, anche in questo caso si sono aperti degli interessanti spunti di riflessione sul diritto che, da sempre, tende a “categorizzare” per poter regolamentare. Infatti, quello che a prima vista potrebbe sembrare un lavoro fatto di regali, viaggi gratuiti e sponsorizzazioni, in realtà nasconde degli aspetti legali da non sottovalutare.

Influencer, è una professione?

Come si inquadra la professione? Quali contratti si prestano a tale attività? A chi appartengono i contenuti creati? Qual è la tutela offerta ai contraenti “deboli”?

È così che, con lo svilupparsi del fenomeno, è nata anche una nuova branca del diritto, quella dell’influencer law. Il giurista si trova a mettere in campo strumenti giuridici propri della disciplina dei contratti, della proprietà intellettuale, della privacy, del diritto del lavoro, della pubblicità e della tutela dei consumatori. Negli ultimi anni si sono sviluppate prassi, si è discusso di discipline ad hoc e sono nate nuove associazioni di categoria (tra queste, ad esempio, Assoinfluencer), portatrici degli interessi di questi nuovi “imprenditori dei social”.

Il contratto di influencer marketing

Buona parte degli sforzi della dottrina giuridica si è rivolta verso la nascita del contratto di influencer marketing, con il quale si regola il rapporto tra il brand e l’influencer. Lo strumento è ormai largamente riconosciuto come un contratto atipico, perché concede un ampio spazio all’autonomia dei contraenti, necessario per poter catturare tutte le sfaccettature del mestiere: dagli aspetti basilari (tempistiche, quantità dei contenuti, tipologia) alla concreta utilizzazione, anche da parte del brand stesso, di elementi quali post e stories (soggetti al copyright e la cui paternità deve essere sempre riconducibile all’influencer, titolare dei diritti), fino all’inserimento di guidelines per tutelare quelli che sono aspetti fondamentali per ambedue i soggetti, come la brand reputation.

Aldilà degli strumenti tecnici, è importante inquadrare il ruolo svolto da questi nuovi professionisti. La loro attività principale, ossia la creazione di contenuti al fine di influenzare i propri followers, si svolge sui social network, cioè un luogo che nasce per la comunicazione peer-to-peer.

Si sono posti quindi problemi di tutela dei destinatari dei contenuti che si configurano, di fatto, come una forma di pubblicità commissionata dall’impresa, ma realizzata e veicolata tramite il profilo dell’influencer.

I principi generali

Sono quindi i principi generali alla base della tutela dei consumatori che guidano le recenti prassi, messe in scena tutti i giorni sui profili che seguiamo. Facendo riferimento al Codice del Consumo è, per esempio, da sanzionare l’occultamento della natura promozionale di un contenuto, in forza del principio di trasparenza.

Anche se, va detto, una reale applicazione di tale normativa si è resa possibile solamente attraverso le – rare – decisioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e al lavoro svolto dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria.

L’organismo volontario e autonomo al quale aderiscono praticamente tutte le agenzie pubblicitarie si è recentemente dotato del “Digital Chart”, ossia un insieme di linee guida sulla comunicazione commerciale digitale. Gli organi interni che vigilano sul Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale si sono pronunciati anche su casi eccellenti (ad esempio risale al 2018 una pronuncia nei confronti di Newtopia S.r.l., controllata da Fedez, e Peugeot) pur nei limiti dei propri poteri (bloccare la campagna ma non sanzionare), fino ad arrivare all’adozione di un vero e proprio Regolamento che contiene criteri che permettano la riconoscibilità di ogni forma di pubblicità digitale (dall’endorsement all’advergame).

È così che da qualche tempo sono comparsi hashtags ritenuti obbligatori come #adv, #giftedby, #inpartnershipwith, non potendosi ritenere sufficiente il solo rimando all’azienda: un piccolo (ma significativo) passo verso la consapevolezza del consumatore, sempre più “allenato” a distinguere un semplice consiglioda un vero e proprio endorsement frutto di un contratto pubblicitario.

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