Thomas Piketty. Crescita e diseguaglianza

Thomas Piketty nel suo best seller Il capitale nel XXI secolo riprendeva i temi dei suoi studi su concentrazione e distribuzione della ricchezza negli ultimi 250 anni, secondo i quali il tasso di rendimento del capitale nei Paesi sviluppati è stato sempre maggiore del tasso di crescita economica.

Crescita e diseguaglianza nel lungo periodo

Al momento dell’esposizione della sua tesi (la pubblicazione del suo libro in italiano, per i tipi di Bompiani, è del 2014) sembrava che  questo potesse portare in futuro a un aumento della disuguaglianza in termini di ricchezza e disponibilità di beni e servizi. Piketty proponeva di attuare una redistribuzione della ricchezza attraverso una tassa globale sulla ricchezza (sostanzialmente in modo progressivo). Chissà se il dopo-pandemia porterà a qualche aggiustamento nelle previsioni. Il giugno scorso a Trento, durante il Festival dell’Economia, Piketty ha parlato di “Socialismo partecipativo contro Socialismo di Stato” disquisendo di un potente Stato sociale, di tassazione sui redditi fortemente progressiva, di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, con proposte definite dai commentatori “decisamente radicali”..

L’età dell’oro

Tornando al libro del 2014, per Piketty il periodo 1920-1970 costituisce una vera e propria anomalia. Questo periodo, per sottolinearne l’eccezionalità, è stato definito “età dell’oro”. Questa fase è terminata con il 1970. Si è dunque entrati nuovamente in una fase storica in cui la trasmissione ereditaria è più efficace del lavoro nel produrre ricchezza.

Come sottolinea Piketty, nel terzo millennio la diversa dinamica della concentrazione della ricchezza in Europa rispetto agli Stati Uniti non è sufficiente a spiegare la progressiva divergenza nei livelli di concentrazione dei redditi.

I redditi per Thomas Piketty

All’interno dei top labor incomes si collocano i managers, che hanno progressivamente acquisito il potere di fissare le proprie remunerazioni sulla base della posizione di potere, spesso indipendente dall’effettivo contributo fornito alla produzione dell’azienda. Si sta, dunque, consolidando un nuovo modello basato anche su di un’elevata diseguaglianza all’interno dei redditi da lavoro e non solo sulla diseguaglianza esistente all’interno dei redditi da capitale. Quest’ultima rimane comunque elevata e dipende non solo dalla distribuzione del capitale, ma anche dalle norme sulla successione ereditaria e dalla tassazione del capitale. Non si devono trascurare poi gli effetti della crescita dell’economia finanziaria e l’accresciuta mobilità dei capitali.

Anche le modifiche nella governance delle società e la crescita delle stock options hanno prodotto una crescita dei rendimenti del capitale. Negli Stati Uniti, ad esempio, il reddito disponibile dell’1% più  ricco della popolazione è cresciuto con una velocità ben superiore a quella di qualsiasi altro gruppo.

Diseguaglianza

In parallelo all’arricchimento progressivo dell’ultimo decile e dell’ultimo percentile della distribuzione si è verificato non solo un impoverimento del decile inferiore, ma anche della classe media. Un livello di diseguaglianza così elevato, che colpisce anche la classe media, può diventare un fattore di freno per la crescita, poichè si tradurrà in minori opportunità per le prossime generazioni. Il “capitalismo patrimoniale” americano potrebbe diventare sempre meno sostenibile, in assenza di interventi redistributivi efficaci.

Le critiche a Thomas Piketty

Però sui dati utilizzati si è aperta una polemica. Anzitutto Piketty è stato criticato per non aver tenuto conto dell’evidenza empirica. Infatti Piketty si focalizza sul capitale finanziario ignorando quello fisico: non terrebbe conto delle dinamiche complesse che regolano la relazione tra capitale e lavoro. Pertanto, secondo alcuni, la tassa globale sulla ricchezza non basterebbe a ridurre in modo fondamentale la disuguaglianza. Servirebbero anche altre politiche di sostegno al reddito, all’istruzione e alla sanità. Altra critica risiede nel fatto che non è detto che il trend identificato da Piketty negli ultimi trent’anni debba proseguire.

A queste critiche di carattere sostanziale si è aggiunta quella tecnica del Financial Times, perché Piketty avrebbe sovrastimato la disuguaglianza in Inghilterra, e questo indebolirebbe la sua analisi.  Molte altre testate economiche (ad esempio l’Economist) non sono però su questa linea, ritenendo corrette le considerazioni di Piketty.

Secondo Emanuele Ferragina (Lecturer Università di Oxford) “Piketty ha il merito indiscusso di aver portato alla ribalta la giusta domanda. Una domanda che gli economisti più influenti hanno ignorato per anni: vogliamo vivere in una società basata sulla rendita o sul lavoro? Piketty ha posto questa domanda mettendo i numeri e l’analisi economica al servizio dei più poveri”.

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