Stampare nuovi mondi

Le stampanti 3D offrono una prospettiva del tutto nuova per svariati processi di fabbricazione e presto potrebbero diventare strumenti estremamente pervasivi.

Questi strumenti replicano modelli tridimensionali con un processo di produzione additiva, opposta a quella sottrattiva tipica di torni e fresatrici. Invece di partire da un blocco di materiale al quale sottrarre parti fino a intagliare la forma desiderata, la stampante 3D compone il modello impilando una serie di strati dello stesso materiale. Può non essere, però, così evidente in cosa questa modalità di produzione rappresenti un progresso concreto rispetto ai precedenti. Dopotutto, anche un sistema sottrattivo può essere programmato per replicare sulla materia un modello digitale e spesso la materia scartata può essere interamente recuperata e riutilizzata. A parte una maggiore semplicità generale, alla quale conseguono maggiore velocità e affidabilità, la superiorità delle stampanti 3D è data da due aspetti. Esse rendono innanzitutto possibile stampare e assemblare parti composte da diversi materiali in un singolo processo di costruzione. Il secondo è un potenziale che solo ultimamente, grazie all’apporto della robotica, sta venendo esplorato a fondo, quello che potremmo definire l’estensione produttiva. È una caratteristica ottenibile soprattutto con la modellazione a deposizione fusa, ma anche con la sinterizzazione laser. Poiché si tratta di metodi che possono alternare l’utilizzo di vari materiali e che non prevedono l’impiego di supporti, dato che il materiale in fase di modifica si supporta da sé, essi non hanno un limite tecnico di estensione prestabilito per la propria attività di stampa tridimensionale. È pertanto possibile creare trattori, bracci o unità robotiche, dotate di fusori, laser o altri dispositivi di stampa, capaci di estendere l’area in cui si verifica il processo produttivo virtualmente all’infinito. Per questo è possibile pensare di stampare oggetti anche molto grandi, come singole abitazioni o interi condominii. Alcuni istituti di ricerca, come il Politecnico federale di Zurigo, progettano da tempo robot resistenti a polvere e pioggia, capaci di muoversi in ambienti complessi e ricevere istruzioni in tempo reale attraverso un comune Wi-Fi. Il prototipo In Situ Fabricator 1 ha realizzato una casa di duecento metri quadri nel campus universitario, la DFAB House, inaugurata il 27 febbraio 2019. L’anno scorso hanno, invece, presentato un ponte stampato per l’esibizione biennale di architettura Time Space Existence, tenutasi a Venezia presso il Giardino della Marianessa sotto la gestione dell’European Cultural Centre.

La prima forma di stampa 3D fu la stereolitografia, inventata dall’ingegnere statunitense Chuck W. Hull tra il 1983 e il 1986, partendo da uno studio sull’indurimento delle vernici per mezzo di raggi ultravioletti. La sua azienda, la 3D Systems di Rock Hill (South Carolina), produsse e mise in commercio nel giro di un solo anno la sua prima stampante, la SLA1, che polimerizzava con un raggio laser la superficie di una vasca colma di resina liquida sulla base di un modello CAD/CAM/CAE. Creava così gli oggetti uno strato dopo l’altro, partendo dalla base. I maggiori cambiamenti intervenuti da questi primi passi sono stati nella qualità dei software impiegati per la modellizzazione da un lato e la resa dei modelli dall’altro. Le aumentate capacità di calcolo dei computer, il perfezionamento della robotica e l’avanzamento nella scienza dei materiali ha abbattuto considerevolmente i costi, all’epoca proibitivi, di questi strumenti. Con la diminuzione dei costi, i vantaggi peculiari alle stampanti 3D hanno iniziato a essere così appetibili da diffonderne l’uso a macchia d’olio. Negli ultimi anni è sorto un grande bacino di utenti domestici. Unite dalla passione per le nuove tecnologie, queste persone fanno comunità e innovano con idee condivise un settore giovane e dotato di immenso potenziale.

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