La piuma nera della Silicon Valley Bank

di Francesco Caruso

La crisi che si è verificata proprio a cavallo del fine settimana e che ha portato al crollo della Silicon Valley Bank ha radici lontane: oltre un decennio di easy money e di finanziamenti a chiunque avesse un’idea, anche se mancavano i numeri e il rischio di credito era alto. Il rialzo dei tassi dovuto all’inflazione (anche qui: l’inflazione era già viva scalciante a fine 2021, ben prima dell’Ucraina) ha fatto il resto: una generazione di manager e operatori ormai assuefatti a mercati e politiche monetarie unidirezionali non hanno sentito che il venticello si stava trasformando in bufera e hanno sbagliato strategie su duration e rischio di credito.

Ci sono tre valutazioni che a nostro avviso è importante fare in questo momento. La prima è che questo evento non è per ora paragonabile sotto nessun aspetto all’evento della Lehman che portò nel 2008 a una crisi globale – che fu il colpo di grazia finale su una situazione che stava degenerando da oltre un anno – anche se bisogna dire che la velocità con cui è intervenuta la Fed e il governo americano fanno capire che esiste un timore concreto che questa crisi non sia così isolata come si poteva pensare nel primo momento.

La seconda valutazione riguarda l’aspetto puramente tecnico della situazione di breve termine. Per quanto riguarda gli indici azionari la correzione in atto, che è partita tra l’altro un paio di settimane fa dopo che sui mercati europei erano stati raggiunti e superati i massimi pre-Ucraina, non è terminata, almeno non dal punto di vista dei nostri oscillatori, che non sono ancora giunti su livelli consoni per una strategia di controtrend statisticamente efficace. E chiaro che in questo senso molto dipenderà da quello che succederà nella riunione della Fed e da quella che sarà la reazione dei mercati tra stasera e domani. .

La terza valutazione è che in questo momento stanno reagendo tutti i mercati che vengono tipicamente a galla nelle fasi di crisi e cioè i metalli preziosi tra i quali preferiamo di gran lunga l’oro all’argento e i bond a lunga scadenza governativi che hanno una reazione tipica delle fasi di Flight to quality ma sono ancora lontani da veri segnali di inversione: per ora stanno reagendo a quegli estremi di ipervenduto che erano stati segnalati da qualche mese.

Anche qui soprattutto per la parte obbligazionaria bisognerà capire l’evoluzione della situazione e cioè in primo luogo se la crisi sarà contenuta o no e in secondo luogo se questa crisi porterà in qualche modo a una revisione delle politiche delle banche centrali rispetto a quanto riportato nelle ultime uscite. Per quanto ci riguarda continuiamo a collegare qualunque tipo di evoluzione veramente importante dal punto di vista macro a un evento che abbia un impatto pervasivo sui due fattori più importanti, cioè sulla fiducia dei consumatori e sull’occupazione. Fino a una settimana fa non esisteva nessun tipo di tensione in questo senso: adesso bisognerà vedere cosa succederà alla luce di questi eventi.

Stanno reagendo in positivo anche l’euro contro il dollaro e le criptovalute che erano arrivate sui livelli di supporto molto importanti.

Siamo a metà mese e marzo è un mese che nella storia dei mercati è ricco di punti di minimo e di fasi di inversione: basti ricordare il 2003, il 2009 e il 2020. L’elenco di minimi significativi dei mercati azionari che arrivano tra febbraio e inizio aprile è comunque molto lungo. Bisogna essere reattivi e veloci. Per quanto riguarda lo scenario di lungo termine un punto molto importante verrà proprio dalla chiusura di questo mese, che corrisponde alla chiusura del primo trimestre soprattutto sui due mercati americani.

Nulla è scritto e nulla è sicuro sui mercati più complessi e contrastati degli ultimi anni: solo una piuma nera o sta arrivando il cigno?

 

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