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Aborto e PNRR. Il dibattito politico

— di Pierpaolo Ponzone
Nel PNRR ci hanno messo anche l’aborto. Il frullatore della campagna elettorale per le elezioni europee si arricchisce di un tema fuori contesto Sull’argomento è dovuto intervenire il portavoce della Commissione europea per gli Affari economici, la signora Veerle Nuyts. “Il decreto Pnrr contiene delle misure che riguardano la struttura di governance del Pnrr e questi aspetti sono legati effettivamente al Piano di ripresa e resilienza italiano – sottolinea – ma ci sono altri aspetti che non sono coperti e non hanno alcun legame con il Pnrr, come ad esempio questa legge sull’aborto”. La scintilla è stata provocata da un emendamento di Fratelli d’Italia passato in commissione Bilancio e sul quale il Governo ha (im)posto la fiducia: in sostanza le Regioni, nell’organizzare i servizi dei consultori, possono avvalersi e coinvolgere associazioni e attivisti contro l’aborto. Concettualmente una donna che arriva in un consultorio con l’intenzione di cominciare l’iter per interrompere la gravidanza si troverebbe all’interno di un format demenziale nel quale da una parte ci sono i medici e gli operatori socioassistenziali, dipendenti pubblici, e dall’altra persone dell’area antiabortista (i pro vita del Terzo settore).
Nel dibattito politico le opposizioni sono insorte considerando la proposta di FdI “l’ennesima offesa ai diritti della donna e alla sua autodeterminazione”. Irritazione (forte) anche tra i parlamentari della coalizione di Governo: l’eurodeputata di Forza Italia Alessandra Mussolini, la quale solitamente comunica in maniera chiara e diretta, ha dichiarato “dell’aborto non me ne dovete parlare. Prima di tutto siamo per l’Europa, che già si è espressa. Non è un tema del Pnrr. L’aborto lo lasciamo lì dove sta. Non è che, quando c’è una campagna elettorale le donne devono essere sempre messe in mezzo, sacrificate, strumentalizzate”. Non è tutto. Alla Camera, poco prima dell’approvazione del decreto Pnrr, “è stato esaminato un ordine del giorno del Pd che punta a tutelare il diritto all’interruzione di gravidanza nei consultori: la maggioranza lo respinge ma 18 deputati si astengono. Tra questi ci sono ben 15 leghisti, compreso il capogruppo Riccardo Molinari, e un eletto azzurro, Paolo Emilio Russo” (ANSA). Ieri in Basilicata, in piena campagna elettorale per le regionali, il vicepremier Matteo Salvini ha dichiarato: “L’ultima parola sull’aborto spetta alle donne, sempre e comunque”. Alla fine assistiamo alla solita guerra ideologica; da una parte c’è chi vuole indebolire alcuni diritti sociali acquisiti diversi decenni fa grazie alla mobilitazione nazionale generata dal Partito Radicale di Marco Pannella, dal PCI (molto diverso dalla gauche caviar), dal PSI, dai partiti laici, dai Collettivi femministi, dall’Unione Donne Italiane, dalla società civile, e dall’altra i conservatori italici a volte pronti a sacrificare il buon senso per meri demagogici calcoli politici che non giovano al superamento delle contrapposizioni fra destra e sinistra. Tantomeno al confronto democratico e, dunque, ai cittadini, che lo dimostrano stando da anni alla larga dalle consultazioni elettorali.   Per le donne italiane la possibilità di interrompere una gravidanza è giunta dopo un percorso faticoso. Prima del 1978 l’aborto era considerato un reato dal nostro Codice penale, che puniva dai due ai cinque anni sia l’esecutore che la donna stessa. La legge 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” è nata il 22 maggio 1978: confermata da un referendum nel 1981, ha tolto l’aborto dalla clandestinità inserendolo fra le prestazioni offerte dal Sistema Sanitario Nazionale. Lo Stato sancì il diritto all’aborto gratuito, in una struttura sanitaria pubblica (ospedale o consultorio) entro i primi 90 giorni di gestazione.   La Legge 194/98 all’articolo 1 “sconfessa ex ante” l’urgenza, e la blindatura con la fiducia, dell’emendamento presentato da FdI all’interno del decreto Pnrr. Sancisce infatti che “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana sin dal suo inizio. Lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi sociosanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”.   Il dibattito è attuale anche negli USA grazie alla sentenza della Corte costituzionale sull’aborto che non elimina l’aborto, né elimina un diritto: le americane che intendono interrompere la gravidanza dovranno soltanto cambiare Stato, se il proprio ha deciso di abolire la legge che lo permette. Una scorciatoia ideologica per evitare di affrontare la questione. Ma torniamo in Europa; nella comunicazione di un servizio televisivo pubblico, tanto più su tematiche sensibili come l’aborto, conta anche l’estetica e noi in Italia non ci facciamo mancare nulla: l’altra sera a Porta a Porta, il programma di Bruno Vespa, in studio c’erano solo uomini per parlare di aborto. La presidente Rai Marinella Soldi ha richiamato il conduttore, il quale ha replicato sostenendo “che è sempre stato attento alle presenze femminili e che per quella puntata le donne invitate erano tutte indisponibili”.   

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